Omissioni ombre e depistaggi sulle navi dei veleni
articolo pubblicato dal settimanale VIVO
Omissioni ombre e depistaggi sulle navi dei veleni
di Raffaella Fanelli
Indagini complesse e riservate. Che vanno avanti da anni fra depistaggi e strane archiviazioni. Indagini che portano a faccendieri, mafiosi e imprenditori responsabili di un traffico di rifiuti tossici tra Italia e Africa. Tante le inchieste avviate negli ultimi trent’anni da diverse procure, da quella di Asti, di Roma, Brindisi, Udine, Milano, Reggio Calabria, Lecce, Matera, e in tutte si rincorrono una serie di persone coinvolte in strane operazioni. Ma c’è un nome che compare spesso. Troppo spesso. E’ quello di Guido Garelli, 54 anni, detenuto per un periodo nel carcere di Ivrea, nello stesso istituto dov’era ospitato anche il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti, autore delle clamorose rivelazioni sulle navi affondate nel Mediterraneo. <<Fonti sta “collaborando” da quattro anni. Queste stesse dichiarazioni le aveva già rilasciate alla Dda di Reggio Calabria. Non c’è niente di nuovo>>. A parlare è Domenico Lence, ambientalista del Comitato lucano anti-scorie che da oltre vent’anni continua a firmare decine di denunce, informative ed esposti, <<ci sono stati – continua Lence – sporchi comitati d’affari intenzionati solo ad alimentare i loro sporchi interessi>>. Di questi presunti comitati c’è traccia in documenti riservati, deposizioni e fascicoli lasciati in un armadio della procura di Matera, e che noi di Vivo abbiamo avuto la possibilità di visionare. Indagini avviate dal pubblico ministero Nicola Maria Pace, oggi procuratore a Brescia. Da queste “vecchie” risultanze istruttorie si può comporre un puzzle, un’ipotesi che porta a scavare nelle rotte delle navi dei misteri. Uno scenario, agghiacciante, che sembra avere un senso. Porta in Somalia ma parte dall’Italia. Dalla Basilicata. E’ il 17 aprile del 2000 quando ai carabinieri arriva un’informativa su strani permessi di accesso-uscita dal Centro della Trisaia di Rotondella. Ai militari la stessa fonte denuncia trasporti di uranio verso Marsiglia. Poi c’è la fotocopia di un biglietto d’ingresso e di un documento di viaggio di materiale radioattivo relativo al trasporto di 1900 chilogrammi di cesio e plutonio effettuato il 21 settembre e il 4 ottobre 1994 dalla ditta “Mit Nucleare” di Carugate e dal Centro Enea di Saluggia al Centro di Rotondella. Ma l’Enea ha sempre sostenuto che nel Centro lucano non è mai stato introdotto, prodotto, trattato o trasferito plutonio (la materia prima della bomba atomica) utilizzabile per scopi civili o militari. <<100 bidoni di scorie uscirono dalla Trisaia per essere sotterrati lungo il torrente Vella, un agro di Ferrandina>>, denuncia Domenico Lence. <<Era la notte tra l’11 e il 12 gennaio del 1987. 500 invece i bidoni di scorie che partirono per la Somalia. Un’operazione condotta dalla ‘ndrangheta. Tutto parte dal riprocessamento delle barre, quelle maledette barre provenienti dalla centrale nucleare di Elk River, nel Minnesota, e stipate nel centro della Trisaia>>. In che senso? <<Nel senso che nessuno sa che esperimenti hanno fatto in quel Centro>>.
84 barre di uranio dal peso di 2,4 tonnellate, di proprietà degli Stati Uniti ma “conservate” nel Centro della Trisaia. 20 sono state riprocessate nell’ambito di un “programma congiunto di ricerche sul riprocessamento e rifabbricazione di combustibile nel settore del ciclo uranio-torio”, questo si legge nella prima pagina di un dossier riservato relativo alla sistemazione del materiale americano depositato nell’impianto. E Francesco Fonti, la gola profonda della ’ndrangheta, parla della Trisaia in un verbale del 20 marzo 2004. Alcuni rifiuti del Centro di Rotondella sarebbero partiti per la Somalia su una nave della compagnia Shifco approdata a Bosaso. Ma torniamo a Guido Garelli, nativo di Taranto e residente nell’Amministrazione Territoriale del Sahara (l’area che da anni punta a staccarsi dal Marocco, amministrata dal Fronte Polisario), da molti considerato organico ai servizi segreti statunitensi e italiani. Interrogato il 17 marzo del 2003 Guido Garelli dichiarava a verbale che la Trisaia di Rotondella <<era una sorta di outlet atomico>>. Clienti principali Iraq e paesi arabi. <<Nel periodo in cui si svolgevano le attività di ricerca c’era uno scambio informativo con Paesi mediorientali, con stages di tecnici iracheni e pakistani che frequentavano il Centro di Rotondella>>. Ma il Centro della Trisaia, ha raccontato il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti, interessava anche al clan Musitano, che operava nella Locride, e che si sarebbe servito dello stesso Fonti per mantenere i contatti con il Centro in cui sarebbero stati stoccati moltissimi fusti contenenti scarti di lavorazioni di materiale radioattivo. La gran parte di quei fusti, con l’intervento dello stesso Fonti – ha raccontato quest’ultimo – sarebbero stati poi caricati a bordo di navi. Alcune arrivate a destinazione, in porti come quello di Bosaso, altre fatte inabissare con il loro carico di veleni. Come quella ritrovata a largo di Cetraro, non oggi o il mese scorso. Quella nave, la Cunski, è stata stanata e localizzata già due anni fa dalla stessa procura di Paola. L’inchiesta era nella mani di altri magistrati, poi tutto si arenò. Perché? Oggi sull’onda della rinnovata ridondanza investigativa si riparla di quello che già si sa. Da anni. Da decenni. Era infatti il 21 settembre del 1987 quando la nave Rigel si inabissò a largo di Capo Spartivento. Su quell’affondamento stava indagando il capitano Natale De Grazia morto in circostanze sospette il 13 dicembre 1995, mentre era in missione per conto della procura di Reggio Calabria. <<Si stava recando a La Spezia per raccogliere importanti deposizioni e documenti nautici relativi allo spiaggiamento di un’altra motonave, la Rosso>>, ricorda Gianfranco Posa, uno dei fondatori del Comitato Civico Natale De Grazia che dal 2004 chiede la riapertura delle indagini sulla morte del capitano. Della motonave Rosso, meglio conosciuta come Jolly Rosso, aveva trattato l’acquisto Giorgio Comerio un noto faccendiere lombardo indagato più volte per smaltimento illecito di scorie radioattive. <<Gli investigatori di Reggio Calabria, tra cui il De Grazia, avevano scoperto che Comerio voleva trasformare la Jolly Rosso in una fabbrica ambulante di telemine, siluri carichi di scorie radioattive da sparare sotto i fondali marini>>. E sulla motonave furono trovati documenti con sigla O.D.M. (Oceanic disposal management), con chiari riferimenti al progetto di Giorgio Comerio. <<Nel corso delle indagini Natale De Grazia ed i suoi collaboratori – continua Gianfranco Posa – maturarono la convinzione, che la Jolly Rosso doveva essere affondata al largo del Golfo di Sant’Eufemia, vicino Catanzaro, per smaltire un carico di rifiuti pericolosi e per lucrare sul premio di assicurazione. L’affondamento non riuscì e il 14 dicembre 1990 la nave si arenò sulla spiaggia di Amantea in località Formiciche>>.
E la procura di Paola ritiene che i rifiuti tossici contenuti nella stiva della Rosso siano stati interrati sul territorio di Amantea. <<In località Valle del Signore, nel fiume Oliva – conferma Gianfranco Posa – è emersa la presenza di rifiuti radioattivi ed in altri punti dello stesso fiume sono stati scoperti dei sarcofaghi in cemento pieni di rifiuti tossici come il mercurio>>.
Ed è bene sapere che per la ricerca della Rigel c’è stata la consulenza tecnica del dottor Mario Scaramella, noto alle cronache per essere stato coinvolto nell’avvelenamento dell’ex spia russa Aleksandr Litvinenko.
<<De Grazia – denuncia ancora Posa – morì in un momento cruciale dell’inchiesta. Fece una sosta a Nocera Inferiore e insieme ad altre persone si recò al ristorante. Lui fu l’unico a mangiare il dolce, dopodiché si rimise in viaggio in automobile, si appisolò e morì>>. Ucciso da cosa? <<Il risultato dell’autopsia fu: arresto cardiocircolatorio. L’esame venne eseguito 10 giorni dopo, il tempo di far scomparire eventuali tracce di avvelenamento>>, per la vedova Anna Vespia.
Non venne ammesso il consulente medico della famiglia che fece ripetere gli esami. I risultati della seconda autopsia, compiuta dal perito del primo referto, arrivarono per posta alla vedova dieci anni dopo.
(1. continua)