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Archivio per marzo 2011

Acqua pubblica, il Comune di Belmonte Calabro modifica il proprio statuto comunale

31 marzo 2011 Commenti chiusi

Approvata all’unanimità dal Consiglio comunale la delibera che sancisce il principio del diritto umano all’acqua

Belmonte Calabro, 31 marzo 2011 Acqua bene comune a gestione pubblica per cui la proprietà e la gestione del servizio idrico integrato di questa fondamentale risorsa umana devono restare pubbliche e sono prive di rilevanza economica. Questi i principi che la delibera votata all’unanimità nell’ultimo Consiglio Comunale hanno introdotto nello statuto del comune di Belmonte Calabro.

La delibera che ha apportato questa importante modifica alla carta fondamentale della località tirrenica è stata proposta dal primo cittadino, Luigi Provenzano (foto), su sollecitazione del comitato referendario locale “Due si per l’acqua bene comune” che si è costituito nelle scorse settimane ad Amantea. Questa decisione permetterà anche al comune di Belmonte Calabro di avviare un diverso e più funzionale modo di gestione delle proprie risorse idriche allontanandosi dalla logica della mercificazione di un bene essenziale quale è l’acqua per la stessa sopravvivenza del genere umano.

In particolare le nuove norme introdotte nello statuto riconoscono “l’accesso all’acqua come diritto umano, universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico”. Inoltre confermano “il principio della proprietà e gestione pubblica del servizio idrico integrato e che tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà”. Ed infine riconoscono che “il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, la cui gestione va attuata attraverso gli Artt. 31 e 114 del d. lgs n. 267/2000”.

La decisione del Consiglio Comunale di Belmonte Calabro segue l’esempio di altre cittadine del Tirreno cosentino che nelle scorse settimane avevano già varato un analogo provvedimento. Solo per citare gli ultimi esempi, infatti, già le vicine Amantea ed Aiello Calabro avevano aderito a questa iniziativa modificando i rispettivi statuti comunali su proposta del comitato civico Natale De Grazia e del comitato “Valle Oliva Terre a perdere” tra i promotori del comitato referendario a favore dell’acqua pubblica.

“L’auspicio – affermano i responsabili del comitato referendario comprensoriale “Due si per l’acqua bene comune” – che altri comuni calabresi seguano questo esempio che permetterà di proteggere un bene fondamentale per la vita. In particolare proporremo ai comuni di Fiumefreddo Bruzio e Longobardi di modificare il proprio statuto e di avviare la costituzione di un Consorzio intercomunale per la gestione del servizio idrico comprensoriale. Inoltre stiamo organizzando altre iniziative a sostegno delle ragioni dei SI ai referendum che si terranno il 12 e 13 giugno prossimo”.

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Navi e veleni. “Alcune verità vanno nascoste al Popolo…”

30 marzo 2011 Commenti chiusi

Gli arcana imperii e la valle dell’Oliva

«Uno dei grandi segreti che oggi il popolo non deve conoscere è quello delle scorie nucleari e della pericolosità delle centrali atomiche esistenti nel mondo»

di Alfonso Lorelli*

Amantea, 30.3.2011 - Che sulla vicenda delle navi dei veleni e delle scorie radioattive potesse distendersi ancora una volta il silenzio di Stato, non abbiamo mai avuto dubbi; né che i costruttori di verità a tavolino potessero trovare megafoni sempre pronti e velinari sempre disponibili. La povera gente come noi, che si batte a mani nude per conoscere la verità su problemi enormi come l’affare nucleare, viene sempre zittita attraverso una vasta ed incontrollabile organizzazione dei poteri forti e coalizzati operanti in silenzio, che comprende sia la manipolazione dell’informazione che la somministrazione di una verità ufficiale le cui fonti di prova sono sempre sottratte ai cittadini. Come scrisse Tucidide, 2400 anni fa, “ il mondo è retto dagli arcana imperii… alcune verità vanno nascoste al popolo nel superiore interesse del Principe….”.

Uno dei grandi segreti che oggi il popolo non deve conoscere è quello delle scorie nucleari e della pericolosità delle centrali atomiche esistenti nel mondo; ed anche quando scoppia un incidente catastrofico come quello di Cernobyl o di Fukushima il “superiore interesse” fa scattare subito una valanga di bugie e  disinformazioni da parte delle potentissime lobby (governi,industrie, stampa asservita). Queste losche alleanze cercano di minimizzare il pericolo al fine di impedire le rivolte popolari che potrebbero scatenarsi se venissero scoperte le loro terribili bugie come “ il nucleare pulito di terza o quarta generazione” , “ da noi fatti come quelli non potrebbero mai accadere” , “ le scorie non sono un problema irrisolvibile”, e così via cianciando.

Dopo quello che è successo in Giappone tutto è ormai possibile, la catastrofe nucleare è sempre dietro l’angolo, gli effetti di lunga durata sulla salute dell’umanità intera sono imprevedibili, la morte nucleare può arrivare anche dopo cento e mille anni se, oggi, gli uomini non si coalizzano per fermare i pazzi sedicenti scienziati che mettono la loro scienza al servizio del male assoluto, incuranti della distruzione del mondo. In Giappone non hanno retto le tecnologie più avanzate, figuriamoci in Italia; forse neanche le bugie che vengono somministrate quotidianamente possono reggere a lungo.

Il governo italiano, incurante del nostro futuro e della nostra salute, ha scelto il ritorno al nucleare, perciò, ancor più dopo Fukushima, ha bisogno di intorbidire le acque, di mettere fumo nei nostri occhi, di barattare bugie per verità, di impedire  che la rabbia montante dei cittadini possa vincere e fermare definitivamente la costruzione delle sei nuove centrali nucleari. Ecco perché chiudere la bocca dei cittadini attivi sulle navi dei veleni e sulle scorie radioattive scaricate nei fondali marini è considerato fondamentale per i nostri “dottor Stranamore” programmatori di morte atomica.

Dentro questo quadro generale va dunque collocato ed interpretato l’uso che viene fatto, proprio in questi giorni, delle sedicenti verità ufficiali sulle navi dei veleni.

Così si sbandiera ai quattro venti che anche le ultime indagini sono state chiuse; che nel nostro mare non vi sono navi affondate con carichi nocivi; che i fusti fotografati in fondo al mare contengono granaglie e portarli alla luce non serve. Si ribadisce che chi afferma il contrario o solleva dubbi dice solo bugie, e se può dimostri il contrario  “ altrimenti taccia per sempre”; ma poiché dimostrare il contrario è impossibile perché solo lo Stato ha i mezzi ed i capitali per farlo, bisogna accettare la verità ufficiale e tacere. Bisogna fare come gli struzzi, altrimenti si rischia di essere accusati di lesa maestà, di voler danneggiare le popolazioni, di voler continuare a dire bugie, di essere additato a nemico pubblico, di voler svegliare i dormienti.

Gli “arcana imperii” di cui parlava Tucidide 24 secoli fa hanno vinto ancora una volta.

Che i poteri forti possano ripetere lo stesso copione anche sull’inquinamento del fiume Oliva e sulla necessità della bonifica ci sembra più difficile ma non impossibile. Le centomila tonnellate di rifiuti scoperti possono essere sempre degradati a materiale non pericoloso; cesio, cadmio, piombo, mercurio e quant’altro possono sempre essere ridotti a scarti di lavorazione industriale innocui o ad elementi non pericolosi per la salute della gente; la radioattività artificiale scoperta nel 2004 può sempre diventare “naturale”;  Foresta può diventare all’improvviso un’oasi eclogica doveandare a fare pic-nic; gli ambientalisti possono essere sempre rappresentati come pericolosi banditi che vogliono il male della gente; l’Autorità giudiziaria che ha scoperto  tutto il materiale inquinante può essere trasformata in  un nemico dello Stato  che agisce nell’ombra; gli inquinatori, veri pirati dei fiumi, anziché mandarli in galera possono anche essere fatti santi subito.

Al di là di ogni amara ironia, vogliamo ancora una volta denunciare con molta preoccupazione i silenzi ed i ritardi ingiustificati che stanno caratterizzando la vicenda delle analisi sui campioni prelevati nel fiume Oliva circa un anno  fa. L’Ispra, organismo statale che deve concludere e sintetizzare le risultanze sui prelievi dopo aver acquisito i dati forniti dalle diverse Arpa regionali incaricate delle analisi sui campioni, a ben otto mesi dalla conclusione delle operazioni di carotaggio del terreno, pare non abbia ancora fatto pervenire alcunché di definitivo all’Autorità giudiziaria. E l’Ispra è un ente tutt’altro che indipendente.

Le risultanze dell’Arpa Calabria, già consegnate da qualche mese alla Procura di Paola, pongono già, di per sé sole, il problema della necessità della bonifica di molti siti inquinati, stante la pericolosità elevata per la salute della gente.

Non vorremmo che i ritardi dell’Ispra dovessero essere collegati alle prossime elezioni referendarie, al panico per Fukushima oppure a qualche altro depistaggio o tentativo di costruire una verità ufficiale edulcorata, in nome della tranquillità sociale spesso tanto invocata a sproposito da qualche  organo di stampa ma anche da amministratori comunali poco accorti, sempre più struzzi e sempre meno aquile.

* Vice-presidente Comitato “De Grazia”

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Ci privatizzeranno anche l’Aria

29 marzo 2011 Commenti chiusi

La satira di Altan

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Roma, un’onda azzurra invade la capitale

29 marzo 2011 Commenti chiusi

Un fiume di 300 mila persone da Piazza Della Repubblica a piazza S. Giovanni per promuovere il Si ai referendum

Alla manifestazione partecipazioni da tutta Italia. Presente anche il comitato “De Grazia”

di Asmara Bassetti

ROMA 26 marzo 2011 – Più di 300mila persone: questa la cifra dei partecipanti alla manifestazione a favore del referendum del prossimo 12 e 13 giugno per l’acqua pubblica e il nucleare.
Una calda e affollata piazza Repubblica ci ha accolti con decine di bandiere, striscioni e cartelli.
Ad essere presenti, oltre al popolo romano, numerose persone da ogni parte del bel paese, dalla Sicilia al Piemonte, dal Molise alla nostra Calabria, scese in piazza per dimostrare che un’altra Italia è possibile, che l’acqua è un bene comune dal quale è ingiusto ricavare profitti, e che il nucleare, soprattutto dopo la catastrofe giapponese, non può e non deve essere accettato nel nostro territorio.

«È stata una manifestazione riuscita grazie a un coordinamento che ha portato 1.400.000 firme in cassazione, apposte dai cittadini che sull’acqua non vogliono privati e dicono “Si” all’acqua bene comune» dice una voce dall’alto di un “camioncino” addobbato d’azzurro e blu, che intrattiene tutti con un’allegra musica che coinvolge il corteo, snodatosi fino a piazza San Giovanni, dove da un palco si sono susseguiti vari interventi riguardanti temi su acqua pubblica e nucleare, alcuni in lingua inglese, francese e tedesca.

Una manifestazione vivace e colorata come le numerose bandiere e gli striscioni, e come i giovani percussionisti che hanno accompagnato il corteo con i loro particolari suoni.
I coordinatori del referendum si dicono soddisfatti ed ottimisti, e la grande adesione alla giornata di sabato lo dimostra; portare 26 milioni di italiani alle urne il 12 e il 13 giugno, ora è “un’impresa” che sembra più realizzabile e vicina, e dobbiamo perciò continuare a portare avanti questa lotta, che è una lotta di dignità e cultura, necessaria per “riavere in mano” il nostro paese.
Perché l’acqua è un bene comune: riprendiamocelo!

Arrivo a piazza repubblica

Concerto in piazza san giovanni

Corteo

Giovani gocce si uniscono alla pace

goccia dopo goccia si sbriciola la roccia

percussionisti all'interno del corteo

La bilancia

Vota Si per fermare privatizzazione acqua e nucleare

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Acqua Pubblica, è ufficiale: il 12 e 13 giugno i Referendum

24 marzo 2011 Commenti chiusi

“Il Governo non si illuda, vinceremo i referendum!”

Roma, 23 marzo 2011 - Il Comitato Referendario 2 Sì per l’Acqua Bene Comune apprende che le date scelte per lo svolgimento dei referendum sono quelle del 12 e il 13 giugno. Quella del mancato accorpamento con le elezioni amministrative è una decisione sconcertante, che “brucia” 400 milioni di euro e di cui il Governo dovrà dar contro ai cittadini.

Non si illuda la maggioranza, porre i referendum a metà giugno non scoraggerà gli italiani dall’andare al voto. Il Comitato Referendario è certo del successo referendario, del raggiungimento del quorum e della vittoria dei Sì per l’acqua bene comune.

Sabato 26 marzo tutte le italiane e tutti gli italiani sono invitati alla grande manifestazione per l’acqua a Roma, per gridare a tutti che un’altra Italia è possibile.



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Il Comitato De Grazia premiato a Chieti

22 marzo 2011 Commenti chiusi

Premio nazionale Agenda Rossa al comitato De Grazia “per la meritoria opera di difesa del territorio” conferito dal movimento Agende Rosse di Salvatore Borsellino nella giornata della memoria delle vittime della mafia.

Un momento della premiazione del Comitato

«Dedico il premio alla memoria di Natale De Grazia, e lo condivido con tutti gli attivisti del comitato e con i calabresi onesti» con queste parole Gianfranco Posa, presidente del “Comitato civico Natale De Grazia” ha ritirato a Chieti il Premio nazionale Agenda Rossa conferito all’associazione calabrese per la sua «meritoria opera a difesa del territorio».

Un premio conferito al comitato dalla consulta degli studenti della provincia di Chieti che hanno invaso con il loro entusiasmo il teatro Marrucino nel centro storico della città abruzzese, in un evento promosso dall’associazione “Chieti Resiste” – coordinata dall’infaticabile presidente Luca De Stefanis –  e dalle “Agende Rosse”, movimento fondato da Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, giudice ucciso nella strage di mafia di via D’Amelio nel ’92 a Palermo.

Il premio “Agenda Rossa – Giornata della commemorazione delle vittime di mafia” è uno degli appuntamenti principali nel calendario del Movimento Agende Rosse ed ha come simbolo la famosa agenda sulla quale il giudice Paolo Borsellino annotava i suoi preziosi appunti e misteriosamente scomparsa subito dopo l’attentato. Uno dei misteri d’Italia sul quale, dopo diciannove anni, si attende ancora una verità processuale.

«Generalmente chi conferisce un premio considera chi lo riceve persone “eccezionali” – ha detto Posa -. Noi siamo persone normali, che vivono una vita comune, ma che hanno deciso di dire basta ai soprusi, al maltrattamento del territorio, all’avvelenamento delle nostre terre e delle nostre vite». Un’esperienza entusiasmante non tanto per il riconoscimento ricevuto ma per gli incontri, per le storie che si sono condivise. Tra le altre quella dell’imprenditore calabrese Gaetano Saffioti

Celestini, Saffioti, Posa, Zampaglione, Genchi, Napoli

che ribellandosi al “pizzo” ha mandato in galera 43 persone stravolgendo da quel momento la propria vita e quella della propria famiglia che vive sotto scorta e che è stata per lungo tempo isolata dai propri concittadini. Oppure le esperienze raccontate a tavola da Baldessarro e Còmito due giornalisti calabresi minacciati dalla ‘ndrangheta.

«Lusingato e amareggiato nello stesso tempo – si è detto ancora Posa – perché lontano dalla nostra terra hanno più considerazione di noi, mentre in Calabria non tutti ci considerano persone perbene. Molti ci vedono come persone che cercano “gloria” attraverso la diffamazione della nostra regione, gente che crea un’immagine turistica negativa. Ma nonostante il “fango” noi continueremo a difendere la nostra Terra, perché la amiamo».

Interessante poi il dibattito seguito alla premiazione, con gli studenti che spesso chiedevano “ma cosa possiamo fare per sconfiggere la mafia?” La risposta dei testimoni quasi univoca “svolgere bene e onestamente il proprio lavoro ed il proprio ruolo di cittadini nella società,  essere testimoni di legalità nella vita quotidiana, combattere il clientelismo”. Partecipare alla vita pubblica, alle decisioni che ci riguardano in qualità di cittadini stringendo “reti di relazioni” perché, come diceva qualcuno, “non possono ucciderci tutti”.

Al microfono Luca De Stefanis, presidente "Chieti Resiste"

Al microfono Luca De Stefanis presidente "Chieti Resiste"

I premiati della seconda edizione del premio Nazionale Agenda Rossa di quest’anno:

  • Comitato Civico “Natale De Grazia” – Premio “Agenda Rossa” alle Associazioni:
  • Ascanio Celestini  – Premio “Agenda Rossa” alla Cultura
  • Serena Verrecchia – Premio “Giovane Agenda Rossa”, alla memoria di Giuseppe Gatì
  • Gaetano Saffi­oti – Premio “Agenda Rossa” all’Imprenditoria che Resiste
  • Giuseppe Baldessarro e Pietro Comito – ritirano il Premio “Agenda Rossa” all’Informazione conferito ai giornalisti minacciati dalla ‘ndrangheta in Calabria
  • Federico Zampaglione (Tiromancino) – Premio “Agenda Rossa” alla Musica
  • On. Angela Napoli – Premio “Agenda Rossa” alla Politica
  • Letizia Battaglia (fotografa) – Premio Speciale “Emanuela Loi”
  • Gioacchino Genchi – Premio “Agenda Rossa d’Oro”

Il Comitato De Grazia sarà premiato per le sue attività dall’associazione Chieti Resiste e Agende Rosse Chieti nell’ambito della 2^ edizione del premio nazionale Agenda Rossa

20 marzo 2011 Commenti chiusi

2° Premio "Agenda Rossa" a Chieti“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”.

Con queste parole di Paolo Borsellino, dopo il successo della prima edizione dello scorso anno, a Chieti è riproposto il Premio Nazionale “Agenda Rossa”; evento rilevante sul tema della legalità e della lotta alle mafie, con ospiti di primissimo piano legati al mondo della letteratura, dell’informazione, dello spettacolo e dell’impegno civile.

Promosso dall’associazione “Chieti Resiste” in collaborazione con Movimento “Agende Rosse Chieti”, il premio ha come simbolo la famosa agenda rossa sulla quale il giudice Paolo Borsellino annotava i suoi preziosi appunti e misteriosamente scomparsa nell’immediatezza dell’attentato di via D’Amelio, a Palermo. Uno dei misteri d’Italia sul quale, dopo diciannove anni, si attende ancora una verità processuale. Il “Premio Agenda Rossa” è uno degli appuntamenti principali nel calendario del Movimento Agende Rosse, fondato da Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo.

Lo scorso anno i riconoscimenti delle Agende Rosse andarono al blogger Claudio Messora (www.byoblu.com), a Giulia Innocenzi (Annozero), alla quattordicenne Cecilia Sala, al cantautore Daniele Silvestri, al vignettista Vauro Senesi (Annozero), all’associazione “Espressione Libre”, al vincitore del concorso promosso nelle scuole di Chieti e ovviamente a Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo.

Quest’anno con una missiva del 3 febbraio scorso il presidente dell’associazione “Chieti Resiste”, Luca De Stefanis ha invitato il comitato civico “Natale De Grazia”, a «ritirare il premio dedicato alla categoria “Associazione”, per la Vostra meritoria attività sul territorio».

La manifestazione avrà il suo clou a Chieti, la mattina di Lunedì 21 marzo 2011 dalle ore 10.30 presso il Teatro Marrucino, con la cerimonia di premiazione alla presenza delle scolaresche locali.

I premi conferiti quest’anno nella seconda edizione del premio Nazionale Agenda Rossa:

Premio “Agenda Rossa” alle Associazioni: al “Comitato Civico Natale De Grazia
Premio “Agenda Rossa” alla Cultura: ad Ascanio Celestini
Premio “Giovane Agenda Rossa”, alla memoria di Giuseppe Gatì: a Serena Verrecchia
Premio “Agenda Rossa” all’Imprenditorìa che resiste: a Gaetano Saffi­oti
Premio “Agenda Rossa” all’Informazione: ai giornalisti minacciati dalla ‘ndrangheta in Calabria (ritirano il premio Giuseppe Baldessarro e Pietro Comito)
Premio “Agenda Rossa” alla Musica: a Federico Zampaglione (Tiromancino)
Premio “Agenda Rossa” alla Politica: all’On. Angela Napoli
Premio Speciale “Emanuela Loi”: alla Sig.ra Letizia Battaglia
Premio “Agenda Rossa d’Oro”: a Gioacchino Genchi
Collegamento SKYPE con Salvatore Borsellino

Diretta e maggiori info sul sito:  19luglio1992.com

Archiviata la querela dei Messina contro il direttivo del Comitato De Grazia

18 marzo 2011 Commenti chiusi

Jolly Rosso, cercare la verità sulla nave spiaggiata ad Amantea non costituisce diffamazione

Il Gip di Genova archivia l’accusa formulata dalla società Messina contro i vertici del “De Grazia”

Amantea, 18 mar. 2011 – Archiviazione perché la notizia di reato è infondata. Con questa motivazione il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Genova, dott. Fucigna, ha accolto la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero nei confronti del presidente del Comitato Natale De Grazia, Gianfranco Posa, e degli attivisti Alfonso Lorelli, Francesco Saverio Falsetti e Maria Elena Del Pizzo difesi dall’avvocato Antonella Bruno Bossio del foro di Roma. Secondo il Gip, infatti, la querela per diffamazione presentata dai legali della Ignazio Messina & C. Spa, società armatrice della motonave Rosso, la nave spiaggiata in località Formiciche di Amantea il 14 dicembre 1990, deve essere archiviata perché le dichiarazioni espresse dagli attivisti del Comitato “De Grazia” rientrano pienamente nell’esercizio del diritto di cronaca che il giudice delle indagini preliminari riconosce ai membri del “De Grazia”. Ma vi è di più, secondo il giudice «non pare potersi ravvisare nell’articolo in questione alcuna espressione ingiuriosa o latamente offensiva; i sottoscrittori dell’iniziativa infatti hanno utilizzato espressioni equilibrate e ragionevoli nella loro portata comunicativa».

I Messina avevano ritenuto oggetto di querela la lettera con la quale nel mese di agosto 2009 gli attivisti del comitato avevano chiesto al comune di Amantea di intitolare il lungomare della cittadina tirrenica al comandante Natale De Grazia ripresa e pubblicata da alcuni siti internet. I querelanti avevano invocato, citando in giudizio gli attivisti del De Grazia, l’ordinanza di archiviazione del procedimento penale che vedeva indagata la società Messina, emessa il 12 maggio 2009 dal gip di Paola, tale ordinanza, secondo la parte offesa, avrebbe definitivamente concluso il lungo e travagliato iter giudiziario che ha visto coinvolta per quasi vent’anni la società, così riabilitando completamente la posizione della stessa e mettendola al riparo da ogni accusa mossa in precedenza dimenticando, «tuttavia, che tale provvedimento di archiviazione – secondo il Gip –  ha carattere parziale e non conclude l’intera vicenda relativa alla motonave Jolly Rosso».

Per tale denuncia il pubblico ministero aveva già chiesto l’archiviazione, verso la quale però la società Messina aveva presentato opposizione in relazione alla quale si è pronunciato il Gip Fucigna.

Nelle motivazioni contenute nella lunga ordinanza di archiviazione il Gip si addentra nel merito della vicenda valutando giustificati i molti dubbi sollevati dal “De Grazia” circa, sia i collegamenti tra la vicenda dello spiaggiamento della motonave e gli episodi di inquinamento riscontrati nella vallata dell’Oliva, sia anche il presunto legame tra il traffico dei rifiuti e la morte sospetta del capitano Natale De Grazia che stava indagando proprio sulla motonave Rosso. Il Gip si dilunga anche sull’altro aspetto non ancora chiarito e cioè i legami sospetti tra l’attività dell’ingegner Giorgio Comerio e il traffico portato avanti anche dalle cosche della ‘ndrangheta in materia di smaltimento illecito di rifiuti pericolosi. Il tutto, per il gip, visto che sull’intera vicenda esiste ancora una indagine della magistratura paolana rientrerebbe appunto nel diritto di cronaca esercitato dai membri del Comitato e definisce «La censura mossa dall’odierno querelante (…), sebbene possa essere ritenuta del tutto comprensibile (…)lascia tuttavia trasparire una percezione dei fatti eccessivamente esacerbata». E’ da precisare che già nella richiesta di archiviazione formulata dal PM era stato affermato il principio secondo il quale deve ritenersi «lecita la condotta di coloro che, perseguendo la ricerca della verità storica su taluni  fatti complessi ed insoluti, si limitino a riportare circostanze riferite in innumerevoli articoli di stampa ed oggetto di molteplici dibattiti da parte dei mezzi di comunicazione di massa, ancor più laddove si consideri che gli stessi, nel comunicare tali notizie, hanno altresì provveduto a precisare che si tratta di indagini ancora in corso» da qui la decisione del Gip di archiviare la querela.

Piena soddisfazione è stata espressa dai vertici del Comitato “De Grazia” che definiscono importante questa decisione perché restituisce serenità a chi negli anni si è impegnato per far emergere la verità sulla vicenda delle cosiddette “navi a perdere”. «Questa decisione adottata dal Gip, un risultato raggiunto per merito del grande lavoro svolto dal nostro avvocato Antonella Bruno Bossio,  – afferma Posa – permetterà di dare nuovo slancio alla nostra attività finalizzata alla ricerca della verità e la difesa del nostro territorio, che è, e resterà sempre il principale obiettivo dei nostri sacrifici personali».

Comitato Civico “Natale De Grazia”

Il nucleare è un’ “opinione”?…

13 marzo 2011 Commenti chiusi

Se si rompe una pala eolica?……si ripara!

Se si rompono i pannelli fotovoltaici?…

Si aggiustano!

ma se si rompe una centrale nucleare?


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Discarica di Pittelli. Tutti assolti

13 marzo 2011 Commenti chiusi

Le quattro vasche cariche di veleni, che i tecnici ritengono ormai non più bonificabili, rimarranno come un monumento eterno all’Italia dell’impunità.

di Andrea Palladino

Tutti assolti perché «il fatto non sussiste». Si conclude nel nulla il processo sul sotterramento di rifiuti tossici nella discarica spezzina, che ha provocato uno dei peggiori disastri ecologici nella storia d’Italia. A nulla sono servite le denunce presentate da associazioni e cittadini. Dopo 15 anni di inchieste, tutti assolti gli undici imputati per il disastro ambientale di Pitelli, a La Spezia

La Spezia - È un silenzio plumbeo quello che ieri è calato sulla collina dei veleni. La discarica di Pitelli – che sovrasta il golfo dei poeti di La Spezia - è ormai chiusa dal 1996, quando la forestale sequestrò definitivamente gli impianti, eseguendo un ordine arrivato dalla procura di Asti. Ma le quattro vasche cariche di veleni, che i tecnici ritengono ormai non più bonificabili, rimarranno come un monumento eterno all’Italia dell’impunità.
Non c’è un colpevole, non è stato commesso nessun reato, questo hanno detto i giudici, dopo una camera di consiglio di poche ore, terminata con la sentenza di assoluzione per tutti gli imputati. «Il fatto non sussiste», recita con freddezza il codice. Con un dubbio finale, contenuto nel secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale, citato nel dispositivo, che corrisponde grosso modo all’insufficienza di prove del vecchio codice di procedura penale.
Ora la città di La Spezia rimarrà ancora una volta sola di fronte ad un dubbio, che si trascina da decenni: come è stato possibile veder crescere la più grande discarica di rifiuti industriali nel mezzo di una zona che era stata dichiarata a tutela paesaggistica? «Qui per la legge non si poteva neanche cogliere un fiore», aveva spiegato Roberto Lamma, avvocato di Legambiente, parte civile nel processo. Eppure dall’agosto del 1976 Orazio Duvia, un imprenditore con un passato sostanzialmente incolore e sconosciuto, aveva costruito un vero e proprio impero della monnezza sui terreni che dominano il golfo di La Spezia. Roba pesante, a leggere le perizie. Fusti che provenivano da tutta Italia, svuotati in quattro invasi costruiti uno sopra l’altro, grazie all’intero sistema politico, amministrativo e giudiziario che per anni non ha voluto vedere quello che stava accadendo.
Ci volle la tenacia di Luciano Tarditi, un pubblico ministero di Asti, per scoperchiare il vaso di Pandora di Pitelli. «I colleghi di La Spezia mi dissero che data la gravità del problema – raccontò Tarditi davanti alla commissione rifiuti presieduta da Massimo Scalia – sarebbe stato opportuno che se ne occupasse una procura di fuori». Un’ombra che pesava sulla città che per un decennio aveva ignorato le tante denunce presentate da cittadini e associazioni ambientaliste sulla discarica che cresceva sulla collina. Un sospetto che si rafforzò quando si scoprì che alcuni ufficiali di polizia giudiziaria svolgevano un secondo lavoro pomeridiano negli uffici di Orazio Duvia, il padrone di Pitelli.
Ci vorranno novanta giorni ora per poter leggere le motivazioni di una sentenza che – codice alla mano – lascia aperta la porta del dubbio. I giudici dovranno chiarire perché non può essere considerato «disastro ambientale doloso» lo sversamento continuo e indisturbato di veleni per i vent’anni di funzionamento della discarica. Dovremo capire per quale motivo Orazio Duvia confessò, quando venne arrestato nel 1996, di aver sistematicamente corrotto «funzionari istruttori, dipendenti di enti pubblici, partiti, politici con ruoli decisionali», come si legge nel rinvio a giudizio. Una accusa, quella di corruzione, che venne confermata dal ritrovamento di un vero e proprio brogliaccio delle tangenti, un libro a partita doppia dei soldi versati per anni. Un reato finito in prescrizione, già diversi anni fa.
Alla fine della fase preliminare del processo era rimasto in piedi solo il reato di disastro ambientale doloso, che, per la sua gravità, ha tempi di prescrizione molto più lunghi. Un vero e proprio macigno che pendeva sulla testa degli undici imputati coinvolti. Non tutti si sentivano così sicuri di arrivare ad una assoluzione, di fronte alla gravità delle accuse: Giancarlo Motta – uno dei principali soci di Orazio Duvia nella Sistemi Ambientali, l’impresa che ha gestito l’ultima fase della storia di Pitelli – aveva chiesto di poter patteggiare. Non ci fu l’accordo con la Procura, che riteneva la pena proposta eccessivamente ridotta. Un episodio processuale che oggi suona come una beffa.
Le udienze si sono svolte nella sostanziale indifferenza della città. Il principale imputato, Orazio Duvia, non si è mai fatto vedere in Tribunale, preferendo mandare il suo braccio destro Franco Bertolla ad annotare quello che accadeva. Non sono solo gli imputati i grandi assenti. Buona parte delle testimonianze sono state titubanti, non confermando molto spesso il quadro emerso durante le indagini preliminari. «Spesso i testimoni venivano ammoniti che quello che avrebbero dichiarato poteva essere utilizzato contro di loro», ricorda Corrado Cucciniello dei comitati di Pitelli. Il collegio non ha poi ritenuto di ammettere la visione di un video realizzato dalla Forestale di La Spezia, che descriveva nei dettagli come si era trasformata la collina dei veleni. Immagini che potevano creare suggestione, venne detto.
Eppure le indagini condotte dalla forestale di La Spezia erano state puntigliose, precise nella descrizione dei rifiuti accolti dalla discarica di Pitelli. «Tre milioni di kg di rifiuti tossico nocivi, scarti di specialità medicinali dell’industria farmaceutica, 17.800 tonnellate di scorie da attività di termodistruzione di rifiuti solidi urbani, 116 tonnellate di fanghi, solventi vari quali toluene, xilene e benzene, fusti contenti terre di bonifica, solventi organici, ceneri leggere, fibrocemento, polveri di abbattimento dei fumi di fonderia, scorie alluminose e altro materiale non identificato», recitava il capo di imputazione. Sostanze in grado di distruggere ogni forma di vita dove venivano sversate. O di uccidere, se inalate o ingerite da un essere umano. Indagini che non sono bastate per accertare il disastro ambientale.
È impressionante oggi scorrere il libro nero di Pitelli, ovvero la cartina d’Italia virtuale che mostra la provenienza di buona parte dei rifiuti tossici. Oltre a La Spezia i luoghi d’origine dei veleni di Pitelli andavano dalla Lombardia alla Toscana, dal Piemonte al Molise, in una sorta di nodo centrale dove confluivano carichi di veleni e interessi mai approfonditi fino in fondo. Un centro di interessi dove doveva terminare l’ultimo viaggio del capitano De Grazia, morto sulla strada per La Spezia, alla ricerca di una verità ancora lontana.

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