Black river
Il Ctu della Procura di Paola denuncia: «Correlazione tra tumori e sostanze rinvenute nell’Oliva». L’Ispra nega qualsiasi trasmissione di atti al procuratore.
-
di Roberto De Santo (fonte: Corriere della Calabria)
Fiume Oliva – «Catturavo trote ed anguille. Le trote che catturavo si presentavano con la testa molto più grande rispetto al resto del corpo, non solo gli esemplari adulti ma anche gli esemplari più giovani». Il racconto non è tratto da un film dell’orrore o da un romanzo noir ma è la storia di uno dei tanti abitanti dell’hinterland amanteano che per anni hanno frequentato la Valle dell’Oliva finita nell’indagine che la Procura di Paola sta portando avanti su presunti casi d’interramento di veleni. Un uomo che, soprattutto nel corso degli anni 90, assieme a un suo amico, aveva l’abitudine di andare nel torrente Oliva per pescare.
Un passatempo. Un modo per stare insieme e trascorrere ore spensierate trasformatosi, per entrambi, in una condanna: carcinoma della parete bronchiale per uno e angioma epatico per l’altro.
Due sentenze definitive, con diagnosi apparentemente diversa, ma che in comune hanno quello che i medici definiscono «iniziatore delle patologie tumorali»: le sostanze ritrovate in località Foresta di Serra d’Aiello. Manganese, ferro, triclorometano, arsenico, manganese, riscontrati nelle acque con valori a volte trenta volte superiori alle condizioni naturali dei luoghi. A cui si aggiungono altri metalli pesanti ritrovati nei terreni e nel sottosuolo dell’Oliva. Ma soprattutto il cesio 137.
Lì, nei luoghi dove erano soliti ritrovarsi i due amici per pescare, i tecnici dell’Arpacal, nel 2004, avevano rinvenuto, a una profondità di cinque metri, proprio questo isotopo artificiale con un valore pari a 3,59 B/kg (Bequerel per chilogrammo di terreno). Un valore altissimo mai riscontrato prima in altre zone, a questa profondità, che secondo l’ultima relazione del dottor Giacomino Brancati, il tecnico nominato dal procuratore capo Bruno Giordano, sarebbe sufficiente a giustificare i carcinomi nella zona. E i dati trasmessi alla Procura di Paola, lo scorso febbraio dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), sembrerebbero dare corpo alla tesi. In particolare, il consulente chiamato a valutare proprio il caso dei due pescatori amatoriali alla luce degli ultimi dati forniti dall’Ispra parla «dell’esistenza di una correlazione» tra sostanze rinvenute nell’Oliva e patologie tumorali.
Nel rapporto Brancati si trova dell’altro. La drammatica storia degli amici accomunati dalla passione della pesca non è l’unica sotto l’osservazione del tecnico. Ma assomiglia maledettamente a quella di altre due persone che, da anni, vivono nella vallata dell’Oliva. In questo caso la loro diagnosi porta il nome di carcinoma della tiroide. La causa, però, sembrerebbe la stessa. Anche per loro il consulente tecnico della Procura di Paola parla di correlazione stretta tra il materiale ritrovato in località Foresta e il tumore contratto. Una valutazione precisa che è ancora più dettagliata rispetto a quella già espressa dallo stesso Ctu nel suo precedente rapporto del 2009.
In quell’occasione il tecnico aveva passato in rassegna tutti i casi di tumore registrati in quest’area mettendoli a confronto con il dato nazionale e regionale. Già allora Brancati aveva stabilito «l’esistenza di un eccesso statisticamente significativo di mortalità nell’area del distretto di Amantea rispetto al restante territorio regionale». Nel suo studio, consegnato alla Procura di Paola «Catturavo trote ed anguille. Le trote che catturavo si presentavano con la testa molto più grande rispetto al resto del corpo, non solo gli esemplari adulti ma anche gli esemplari più giovani». Il racconto non è tratto da un film dell’orrore o da un romanzo noir ma è la storia di uno dei tanti abitanti dell’hinterland amanteano che per anni hanno frequentato la Valle dell’Oliva finita nell’indagine che la Procura di Paola sta portando avanti su presunti casi d’interramento di veleni. Un uomo che, soprattutto nel corso degli anni 90, assieme a un suo amico, aveva l’abitudine di andare nel torrente Oliva per pescare.
Un passatempo. Un modo per stare insieme e trascorrere ore spensierate trasformatosi, per entrambi, in una condanna: carcinoma della parete bronchiale per uno e angioma epatico per l’altro.
Due sentenze definitive, con diagnosi apparentemente diversa, ma che in comune hanno quello che i medici definiscono «iniziatore delle patologie tumorali»: le sostanze ritrovate in località Foresta di Serra d’Aiello. Manganese, ferro, triclorometano, arsenico, manganese, riscontrati nelle acque con valori a volte trenta volte superiori alle condizioni naturali dei luoghi. A cui si aggiungono altri metalli pesanti ritrovati nei terreni e nel sottosuolo dell’Oliva. Ma soprattutto il cesio 137.
Lì, nei luoghi dove erano soliti ritrovarsi i due amici per pescare, i tecnici dell’Arpacal, nel 2004, avevano rinvenuto, a una profondità di cinque metri, proprio questo isotopo artificiale con un valore pari a 3,59 B/kg (Bequerel per chilogrammo di terreno). Un valore altissimo mai riscontrato prima in altre zone, a questa profondità, che secondo l’ultima relazione del dottor Giacomino Brancati, il tecnico nominato dal procuratore capo Bruno Giordano, sarebbe sufficiente a giustificare i carcinomi nella zona. E i dati trasmessi alla Procura di Paola, lo scorso febbraio dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), sembrerebbero dare corpo alla tesi. In particolare, il consulente chiamato a valutare proprio il caso dei due pescatori amatoriali alla luce degli ultimi dati forniti dall’Ispra parla «dell’esistenza di una correlazione» tra sostanze rinvenute nell’Oliva e patologie tumorali.
Nel rapporto Brancati si trova dell’altro. La drammatica storia degli amici accomunati dalla passione della pesca non è l’unica sotto l’osservazione del tecnico. Ma assomiglia maledettamente a quella di altre due persone che, da anni, vivono nella vallata dell’Oliva. In questo caso la loro diagnosi porta il nome di carcinoma della tiroide. La causa, però, sembrerebbe la stessa. Anche per loro il consulente tecnico della Procura di Paola parla di correlazione stretta tra il materiale ritrovato in località Foresta e il tumore contratto. Una valutazione precisa che è ancora più dettagliata rispetto a quella già espressa dallo stesso Ctu nel suo precedente rapporto del 2009.
In quell’occasione il tecnico aveva passato in rassegna tutti i casi di tumore registrati in quest’area mettendoli a confronto con il dato nazionale e regionale. Già allora Brancati aveva stabilito «l’esistenza di un eccesso statisticamente significativo di mortalità nell’area del distretto di Amantea rispetto al restante territorio regionale». Nel suo studio, consegnato alla Procura di Paola nel maggio del 2009, il tecnico aveva individuato 1.808 casi nei Comuni ricadenti nel distretto sanitario di Amantea di cui ben 191 proprio nell’area di località Foresta.
Un’incidenza così elevata da far lanciare un vero e proprio allarme per i cittadini della zona. «Si conferma – scriveva Brancati – l’esistenza di un pericolo attuale per la popolazione residente nei territori dei comuni di Amantea, San Pietro in Amantea e Serra d’Aiello, circostante al letto del fiume Oliva a sud della località Foresta, dovuto alla presenza di contaminanti ambientali capaci di indurre patologie tumorali e non».
E ancora. «Occorre rilevare – denunciava il consulente – la suggestiva evidenza di un eccesso di tumori maligni della tiroide nei territori più prossimi ai siti di contaminazione, che, ancorché al di sotto del limite di significatività statistica, concorda con la presenza anomala di cesio 137». Un allarme che, alla luce del nuovo rapporto scaturito dagli ultimi dati esaminati dal tecnico, sembra più che mai attuale.
La posizione dell’Ispra
L’Ispra non sembra voler ancora confermare né tantomeno commentare ufficialmente i dati sui carotaggi avvenuti lo scorso anno nella valle dell’Oliva. Nonostante le prime indiscrezioni che proprio il Corriere della Calabria ha anticipato e che indicano, tra l’altro, un livello di contaminazione da cesio 137, rinvenuto in località Petrone di Aiello Calabro, circa dieci volte superiore la media regionale.
«Non so nulla di questi dati – afferma laconico Leonardo Arru, dirigente dell’Ispra e direttore dei lavori di carotaggio della vallata dell’Oliva -. Stiamo concludendo le nostre valutazioni e appena avremo chiuso l’intero studio di caratterizzazione dei siti lo consegneremo alla Procura di Paola. Sarà il procuratore a decidere se rendere pubblici i dati che, ripeto, non abbiamo ancora trasmesso».
Il dirigente Ispra non vuole valutare neppure i dati già acquisiti da precedenti studi e che indicherebbero l’altissimo livello di contaminazione presente nell’Oliva. Nessun cenno neppure sugli effetti che queste sostanze potrebbero indurre su quanti vivono nella vallata. «Non posso commentare nessun dato visto che l’indagine è ancora in corso».
La collinetta degli orrori
E l’altro dato drammatico che emergerebbe da questa storia fatta di veleni nascosti e tumori ricade sull’incidenza elevata di patologie oncologiche registrate in un’area ancor più delimitata.
Ad essere particolarmente colpito, infatti, sembrerebbe il centro abitato di Contrada Gallo. Un borgo rurale del Comune di San Pietro in Amantea che si trova su una collinetta, proprio al di sopra dei siti dove sono stati ritrovati i materiali inquinanti, con quei valori così alti, tra cui lo stesso cesio 137. In una missiva-denuncia presentata nel 2009 al sindaco di San Pietro in Amantea da un’assistente sociale che vive nella zona emergerebbero, infatti, dati clamorosi. Oltre il 10% dei cittadini residenti in questa località avrebbero contratto patologie oncologiche.
La donna aveva segnalato, infatti, che su 177 abitanti in questa località diciotto si sarebbero ammalati di tumori e cinque di questi sarebbero anche deceduti. «Il decorrere delle patologie menzionate – scriveva la dottoressa – si è verificata all’inizio degli anni ’90 e il primo decesso si è verificato nel 1996».
Nell’ultimo caso denunciato dall’assistente sociale residente nella zona si trattava di una ragazza di 27 anni. Ma le morti come i nuovi casi di residenti che hanno contratto malattie oncologiche in questa area sono continuati anche negli anni successivi. Per lo più tumori al colon, alla tiroide, alla laringe come anche ai polmoni ed alle vesciche. Patologie che, leggendo attentamente il rapporto Brancati, sarebbero pienamente compatibili con le sostanze rinvenute nella vallata dell’Oliva.
Anche se, adesso, sono in pochi in zona a volerne parlare. Soprattutto ora. Quando l’estate è alle porte. «Noi viviamo grazie a un’attività commerciale – spiega chi abita nell’Oliva –. Abbiamo già pagato abbastanza per questa storia. Non è giusto continuare a subire».