Valle Oliva. Profondo Rosso
Il litorale tirrenico contaminato da metalli pesanti. L’inchiesta sull’inquinamento della valle dell’Oliva si allarga. Sullo sfondo il mistero della motonave Rosso
di Roberto De Santo su “Il Corriere della Calabria“
Sono appostati da giorni. Seguono passo passo i movimenti dei mezzi e degli uomini della società Coccimiglio, una ditta di lavorazione d’inerti. Un lavoro lungo e laborioso che permette agli uomini della Guardia costiera di Vibo Valentia di scoprire cosa starebbe mettendo in atto quella ditta. È il 2007, ad Amantea, lungo la costa tirrenica cosentina, sono in corso i lavori di ripascimento degli arenili, erosi dalle mareggiate che per anni stanno flagellando il litorale. Tra le ditte impegnate in quell’intervento c’è, appunto, la società Coccimiglio che ha la sua sede operativa nell’Oliva. È l’area al centro dell’inchiesta portata avanti dalla Procura di Paola, che ha permesso di rinvenire nei terreni e nelle acque di questa zona contaminazioni chimiche e radioattive e che ha portato all’arresto proprio del titolare di quella ditta, il settantacinquenne Cesare Coccimiglio. Ebbene, proprio durante quell’attività investigativa – che in gergo viene definita Ocp (Osservazione, controllo e pedinamento) – gli ufficiali notano qualcosa di strano: dai camion di quella ditta che proveniva da località Valle del Signore di Aiello Calabro – nella valle dell’Oliva – viene gettato in spiaggia del materiale ferroso. Si aspetta la notte per comprendere cosa fosse stato interrato.
Ebbene, da quella spiaggia collocata tra il torrente Santa Maria e il torrente Colongi emergono dalla profondità pezzi di una nave che gli inquirenti definiscono come «parti metalliche di una nave Ro-Ro» di colore rosso. Lo stesso colore che ha dato il nome all’unica imbarcazione – appunto del tipo Ro-Ro – che si è spiaggiata proprio qualche chilometro più a nord di questo rinvenimento, alcuni anni addietro. Per l’esattezza il 14 dicembre del 1990. Eppure quella nave, la “Jolly Rosso”, passata agli onori della cronaca come una delle navi dei veleni, sarebbe dovuta esser smaltita da tempo e non certamente in loco e non dalla ditta sotto il controllo della Procura di Paola per l’inchiesta sull’inquinamento della Valle dell’Oliva. Già nel 1992 la società Mo.Smo.De di Crotone aveva acquisito il relitto dalla Ignazio Messina ed ottenuto dalla Capitaneria di porto di Vibo Valentia l’autorizzazione alla demolizione della motonave.
Non ad Amantea, quindi, non dalla ditta Coccimiglio. Coincidenze. Come quelle emerse dall’analisi dei terreni interrati anche nella spiaggia di Amantea: contaminazione da metalli pesanti e fanghi industriali. Gli stessi inquinanti rinvenuti nell’Oliva. Semplici coincidenze, null’altro, che non permetteranno di legare la vicenda del presunto smaltimento di rifiuti tossici-nocivi, ma anche radioattivi – ricordiamo che nell’area dell’Oliva è stato rinvenuto materiale contaminato dal cesio 137 con valori 16 volte superiori al fondo valle –, al naufragio della nave. Tanto che l’inchiesta sulla Rosso terminerà nel 2009 con un’archiviazione. «Non sono emersi – dirà il pm Francesco Greco nella sua richiesta, poi accolta dal gip di Paola – elementi chiari di collegamento tra il rinvenimento dei materiali trovati in località Foresta… e la motonave Rosso…». Eppure, da lì proseguono le indagini portate avanti con caparbietà dal capo della Procura di Paola, Bruno Giordano, che permetteranno, anche grazie ad un’informativa della Dda di Catanzaro, di individuare altri siti contaminati.
Dai carotaggi effettuati lo scorso anno daitecnici dell’Arpacal e dell’Ispra emergeranno dati drammatici: 86mila metri cubi di fanghi industriali la cui provenienza, vista la caratteristica e la mole, secondo la Procura, non può essere locale. Già, materiale non locale. Ma non certamente della Rosso. Nonostante quelle coincidenze. Nonostante le rivelazioni dei collaboratori di giustizia che avrebbero indicato i luoghi dello smaltimento della nave.
L’INCHIESTA SULL’OLIVA
Ma l’inchiesta sull’inquinamento nella valle dell’Oliva prosegue portando i primi importanti risultati. Accanto all’arresto del titolare dell’azienda, infatti, sono finiti nei guai Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli e Arcangelo Guzzo. Tutti della zona e tutti titolari o concessionari dei terreni nell’Oliva che, secondo l’accusa, avrebbero concesso alla ditta Coccimiglio per interrare i veleni. Per loro i procedimenti penali si apriranno con l’inizio del nuovo anno. Ma c’è di più. Anche la moglie di Cesare Coccimiglio, Giovannina Pino, è stata rinviata a giudizio e la prima udienza è stata già fissata per luglio prossimo. Per lei l’accusa ha ipotizzato, nella sua qualità di legale rappresentante delle ditte del gruppo Coccimiglio, di aver organizzato, in concorso con altri, il traffico illecito di rifiuti altamente pericolosi, il furto aggravato di inerti, lo smaltimento illecito di materiale contaminato ma soprat-tutto di aver causato un disastro ambientale per l’intera zona. Negli atti di questo procedimento – che è il faldone principale dell’inchiesta sull’Oliva – emergono, infatti, altri particolari inquietanti: la contaminazione non riguarderebbe solo i terreni dell’area ma una vasta zona che va da Belmonte Calabro a Nocera Terinese. Per quest’ultimo caso che sarebbe consistito, secondo l’accusa, nell’interramento di materiale contaminato lungo il corso del fiume Savuto, gli inquirenti di Paola avrebbero già da tempo trasmesso il fascicolo d’indagine alla Procura di Lamezia Terme, competente per zona. Mentre gli investigatori avrebbero accertato il trasporto e l’illecito smaltimento di terreno contaminato proveniente dal «feudo»
dell’Oliva nell’alveo del fiume Colongi nei pressi del campo sportivo di Amantea, nonché negli arenili tra Amantea e Belmonte Calabro, in occasione, appunto dei lavori di rinascimento del litorale. In queste aree gli inquirenti avrebbero riscontrato soprattutto la presenza massiccia di cobalto in spiaggia. Per vincere alcune gare d’appalto, inoltre, l’azienda Coccimiglio avrebbe attuato ribassi elevatissimi. In un caso citato ad esempio dagli inquirenti, infatti, quella ditta avrebbe vinto l’appalto per la realizzazione dei lavori del tratto provinciale “Fondovalle Fiume Oliva” con un ribasso del 41 per cento. Ribassi che, per citare il gip Giuseppe Battarino, «non rendono antieconomico l’intervento proprio in quanto il movimento del terreno e la realizzazione del rilevato della strada gli consentono di intombare una rilevante quantità di rifiuti».
Wils (Ue): «L’Italia assicuri la bonifica»
«La situazione è molto grave: l’approvvigionamento delle risorse idriche è seriamente compromesso. Ed anche se non abbiamo potuto compiere una visita approfondita ovunque, è evidente che il problema principale rimane come liberarsi delle sostanze inquinanti e altamente nocive presenti nel terreno che hanno già causato danni alla salute della popolazione». Non usa mezze parole Sabine Wils (a sinistra nella foto), deputato europeo del gruppo Gue-Ngl (Sinistra unitaria europea – Sinistra verde nordica) e membro della commissione Ambiente, Salute Pubblica e Sicurezza alimentare (Envi) del Parlamento europeo – che ha partecipato alla missione europea per comprendere la vicenda dell’inquinamento del fiume Oliva – per descrivere l’idea che si è fatta della situazione. Un’iniziativa, promossa dall’europarlamentare del Partito democratico, Mario Pirillo, che ha consentito di portare alla ribalta europea il caso dell’Oliva. E la posizione della deputata tedesca, Wils è categorica: «Urge che le autorità italiane assicurino fondi e prontezza d’interventi per una bonifica efficace e duratura».Che cosa vi ha detto il procuratore della Repubblica di Paola, Bruno Giordano, nell’incontro?
«Ha fornito e illustrato alla delegazione del Parlamento europeo i dati sullo stato di salute della popolazione, sulla crescita dei decessi dovuti a tumori, assolutamente anomalo e inaccettabile rispetto alle altre regioni italiane. La difesa della salute e quindi l’accertamento dei reati penalmente rilevanti sono stati gli argomenti maggiormente dibattuti nell’incontro».
L’Europa può intervenire per sostenere la ricerca della verità?
«L’Unione non ha competenza per interferire o suggerire come condurre un’inchiesta. Alle istituzioni europee spetta il compito di produrre gli opportuni testi legislativi, direttive o regolamenti comunitari da trasporre negli ordinamenti di ogni Paese in modo da poter essere utilizzati dalla magistratura per identificare e sanzionare le possibili violazioni».
Che cosa può fare l’Europa per spingere le autorità locali a bonificare l’area e quali azioni possono essere messe in campo, anche in termini economici?
«Sono in vigore direttive europee sulle discariche, sullo smaltimento dei rifiuti e sulle emissioni industriali. Resta purtroppo ancora “congelata” in sede di Consiglio quella sulla protezione del suolo su cui il Parlamento si è già espresso tre anni fa, mentre alcuni governi di Stati membri impediscono, con una “minoranza di blocco”, che il Consiglio dei ministri dell’Ue adotti la propria posizione e che quindi si confronti con il Parlamento europeo visto che sono entrambi co-legislatori. Risultato: non c’è ancora una direttiva europea sul suolo. La mancanza di una direttiva ad hoc sulla protezione del suolo non impedisce, però, che siano applicate le leggi esistenti. Sul versante economico, in primis, i compiti di bonifica e di tutela della salute dei propri cittadini spettano agli Stati membri. Quindi è compito dell’Italia adottare le misure economiche per risanare lo sversamento ille gale di sostanze tossiche e nocive che è stato prodotto nel fiume Oliva. I fondi strutturali europei non possono che intervenire nel rispetto del principio di sussidiarietà, quindi rispettando la responsabilità e la capacità di spesa degli Stati membri. Accedere a fondi europei di sviluppo regionale per rilanciare attività economiche, siano esse agricole o industriali, danneggiate da terreni resi insalubri, anzi pericolosi, è possibile sulla base di una proposta dell’autorità nazionale competente, ma nel rispetto del regolamento europeo valido per tutti gli Stati membri. In caso di grandi calamità si può attivare un fondo ad hoc, come ad esempio richiesto dall’Ungheria in seguito al non contenimento e mancato stoccaggio in sicurezza dei fanghi rossi residui della lavorazione dell’alluminio che ha portato al disastro ambientale di alcuni mesi fa. Per questo è fondamentale che l’Italia inquadri bene questa vicenda».
Quali azioni ha intenzione di intraprendere per approfondire l’argomento in sede europea?
«La mia prima iniziativa per la gravità della situazione che ho potuto vedere e, visto che siamo venuti in Calabria per conto della commissione Ambiente e tutela della salute pubblica del Parlamento europeo, sarà quella di proporre quanto prima un’audizione a Bruxelles della commissione stessa o del gruppo politico della Sinistra unitaria europea (Gue -Ngl) cui appartengo, invitando tutti i soggetti coinvolti in questa vicenda e soprattutto i rappresentanti della società civile e delle organizzazioni non governative (Ong) che con ostinazione da anni chiedono l’accertamento delle responsabilità e la bonifica della vallata del fiume Oliva».