Il fiume Oliva affogato nei rifiuti
Nelle motivazioni della sentenza che ha assolto cinque imputati ribadita la contaminazione “certa” dovuta a materiale interrato
di Valerio Panettieri su “Il Quotidiano del Sud” del 17 aprile 2018
COSENZA, 17 apr. 2018 – In determinate aree del fiume Oliva, per almeno vent’anni, “senza ombra di dubbio” sono stati gettati rifiuti di ogni sorta. Da scarichi industriali a scarti di edilizia, fanghi sconosciuti dai colori innaturali (giallo, verde, azzurro), e presumibilmente sostanze radioattive di natura artificiale. Un totale di 162mila metri cubi di materiale, più o meno equivalente a quindicimila camion di grande portata a pieno carico. In poche parole, quel piccolo fiumiciattolo che attraversa le colline di Aiello e Serra d’Aiello per poi sfociare nei dintorni di Amantea, a discapito della sua oggettiva bellezza naturale, è una gigantesca discarica sotterranea. E’ stato più volte ribadito negli anni delle inchieste sulle navi dei veleni, sul traffico illecito di rifiuti della zona e a dicembre scorso certificato anche nelle motivazioni dei giudici della corte d’Assise di Cosenza. Un procedimento che ha portato all’assoluzione di cinque imputati: Cesare Coccimiglio, imprenditore della zona, Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli e Arcangelo Guzzo (per gli ultimi quattro lo stesso pm aveva chiesto l’assoluzione), ma anche ad una certezza.
Gli scarichi illegali nascosti a svariati metri di profondità sul fiume Oliva ci sono stati, lo provano analisi, carotaggi, rapporti dell’Arpacal e documenti dei consulenti utilizzati dalla Procura in fase di indagine. I pm hanno presentato ricorso in Appello.
COSA C’E’ LI’ SOTTO – Sono sette i siti analizzati nel corso degli anni, ognuno con le sue “peculiarità”. Da sotto terra sono spuntate quantità elevatissime di metalli pesanti, a partire dal mercurio, che quasi certamente è entrato in circolo danneggiando in primis la fauna ittica. I pesci, dunque, sono stati letteralmente intossicati. E considerata l’estrema vicinanza con il mare si presume che tutto questo sia arrivato fino alla costa, allargando sensibilmente l’area di inquinamento.
In mezzo c’è il radionuclide artificiale Cesio 137, generalmente uno scarto delle centrali nucleari a fissione, che secondo diverse analisi è presente a quantità molto alte nella zona della briglia in cemento costruita per frenare il percorso dell’acqua.
L’Ispra nel 2011 aveva attribuito quella presenza al caso Chernobyl, ma nel 2015, durante il processo, un esperto dell’agenzia per l’ambiente lombarda e alcuni esperti avevano rimarcato la possibile natura artificiale di quelle emissioni. Lì sotto è stato anche ritrovato un sarcofago di cemento, strapieno di fanghi industriali. Scarti di un qualcosa ancora oggi difficilmente identificabile.
Per molti si tratterebbe della prova dei bidoni della Jolly Rosso, fatti sparire probabilmente in una vecchia cava nei giorni successivi allo spiaggiamento della nave nel 1990 a Formìciche di Amantea. E ancora: cobalto, arsenico, cromo, freon, cadmio e idrocarburi. Tutte sostanze altamente cancerogene e venefiche, concentrate e assorbite a profondità notevoli. Così tanto da aver persino toccato una falda acquifera sotterranea. Acqua che viene utilizzata per l’agricoltura (quasi tutta la zona è a vocazione agricola) e fino a qualche anno fa anche spillata da una fontana pubblica, poi chiusa.
LE RIPERCUSSIONI –Nessuna relazione certa, premettiamo. Ma qualche domanda la Procura se l’è posta riguardo alla morte di un pescatore per patologie tumorali gravi e le lesioni generate ad un secondo uomo. I due infatti andavano a pescare in una vasca nei dintorni della briglia, così come hanno cercato di dare una spiegazione alle trote a diversi stadi di crescita che presentavano deformazioni fisiche. Inoltre c’è da fare i conti con l’incidenza tumorale nella zona, confermata da un consulente della Procura, che secondo quanto scritto presenta delle anomalie statisticamente rilevanti. L’unico punto fermo resta la presenza di quei rifiuti, il resto è puramente speculativo ma probabile. Il fiume Oliva è stato avvelenato, così le colture intorno e le popolazioni che ci vivono.
LA BONIFICA– Il tasto dolente è che sulla bonifica iniziale della zona era stata ipotizzata una spesa di 21milioni di euro, ma di tutto questo non c’è traccia. Nella relazione dell’Ispra risalente al 2013 era scritto nero su bianco, così come l’impossibilità di “porvi efficacemente rimedio con mezzi ordinari nonostante uno stanziamento così imponente”. Rifiuti che “ancora oggi” – si legge nelle motivazioni – continuano a produrre “conseguenze altamente ed irreversibilmente dannose per cose, persone, animali”. Perché allora due anni fa in Commissione ambiente si è detto che quella bonifica non era necessaria? Ancora ci si interroga su misteri e contraddizioni.