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Archivio per la categoria ‘Attività del Comitato’

Archiviata la querela dei Messina contro il direttivo del Comitato De Grazia

18 marzo 2011 Commenti chiusi

Jolly Rosso, cercare la verità sulla nave spiaggiata ad Amantea non costituisce diffamazione

Il Gip di Genova archivia l’accusa formulata dalla società Messina contro i vertici del “De Grazia”

Amantea, 18 mar. 2011 – Archiviazione perché la notizia di reato è infondata. Con questa motivazione il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Genova, dott. Fucigna, ha accolto la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero nei confronti del presidente del Comitato Natale De Grazia, Gianfranco Posa, e degli attivisti Alfonso Lorelli, Francesco Saverio Falsetti e Maria Elena Del Pizzo difesi dall’avvocato Antonella Bruno Bossio del foro di Roma. Secondo il Gip, infatti, la querela per diffamazione presentata dai legali della Ignazio Messina & C. Spa, società armatrice della motonave Rosso, la nave spiaggiata in località Formiciche di Amantea il 14 dicembre 1990, deve essere archiviata perché le dichiarazioni espresse dagli attivisti del Comitato “De Grazia” rientrano pienamente nell’esercizio del diritto di cronaca che il giudice delle indagini preliminari riconosce ai membri del “De Grazia”. Ma vi è di più, secondo il giudice «non pare potersi ravvisare nell’articolo in questione alcuna espressione ingiuriosa o latamente offensiva; i sottoscrittori dell’iniziativa infatti hanno utilizzato espressioni equilibrate e ragionevoli nella loro portata comunicativa».

I Messina avevano ritenuto oggetto di querela la lettera con la quale nel mese di agosto 2009 gli attivisti del comitato avevano chiesto al comune di Amantea di intitolare il lungomare della cittadina tirrenica al comandante Natale De Grazia ripresa e pubblicata da alcuni siti internet. I querelanti avevano invocato, citando in giudizio gli attivisti del De Grazia, l’ordinanza di archiviazione del procedimento penale che vedeva indagata la società Messina, emessa il 12 maggio 2009 dal gip di Paola, tale ordinanza, secondo la parte offesa, avrebbe definitivamente concluso il lungo e travagliato iter giudiziario che ha visto coinvolta per quasi vent’anni la società, così riabilitando completamente la posizione della stessa e mettendola al riparo da ogni accusa mossa in precedenza dimenticando, «tuttavia, che tale provvedimento di archiviazione – secondo il Gip –  ha carattere parziale e non conclude l’intera vicenda relativa alla motonave Jolly Rosso».

Per tale denuncia il pubblico ministero aveva già chiesto l’archiviazione, verso la quale però la società Messina aveva presentato opposizione in relazione alla quale si è pronunciato il Gip Fucigna.

Nelle motivazioni contenute nella lunga ordinanza di archiviazione il Gip si addentra nel merito della vicenda valutando giustificati i molti dubbi sollevati dal “De Grazia” circa, sia i collegamenti tra la vicenda dello spiaggiamento della motonave e gli episodi di inquinamento riscontrati nella vallata dell’Oliva, sia anche il presunto legame tra il traffico dei rifiuti e la morte sospetta del capitano Natale De Grazia che stava indagando proprio sulla motonave Rosso. Il Gip si dilunga anche sull’altro aspetto non ancora chiarito e cioè i legami sospetti tra l’attività dell’ingegner Giorgio Comerio e il traffico portato avanti anche dalle cosche della ‘ndrangheta in materia di smaltimento illecito di rifiuti pericolosi. Il tutto, per il gip, visto che sull’intera vicenda esiste ancora una indagine della magistratura paolana rientrerebbe appunto nel diritto di cronaca esercitato dai membri del Comitato e definisce «La censura mossa dall’odierno querelante (…), sebbene possa essere ritenuta del tutto comprensibile (…)lascia tuttavia trasparire una percezione dei fatti eccessivamente esacerbata». E’ da precisare che già nella richiesta di archiviazione formulata dal PM era stato affermato il principio secondo il quale deve ritenersi «lecita la condotta di coloro che, perseguendo la ricerca della verità storica su taluni  fatti complessi ed insoluti, si limitino a riportare circostanze riferite in innumerevoli articoli di stampa ed oggetto di molteplici dibattiti da parte dei mezzi di comunicazione di massa, ancor più laddove si consideri che gli stessi, nel comunicare tali notizie, hanno altresì provveduto a precisare che si tratta di indagini ancora in corso» da qui la decisione del Gip di archiviare la querela.

Piena soddisfazione è stata espressa dai vertici del Comitato “De Grazia” che definiscono importante questa decisione perché restituisce serenità a chi negli anni si è impegnato per far emergere la verità sulla vicenda delle cosiddette “navi a perdere”. «Questa decisione adottata dal Gip, un risultato raggiunto per merito del grande lavoro svolto dal nostro avvocato Antonella Bruno Bossio,  – afferma Posa – permetterà di dare nuovo slancio alla nostra attività finalizzata alla ricerca della verità e la difesa del nostro territorio, che è, e resterà sempre il principale obiettivo dei nostri sacrifici personali».

Comitato Civico “Natale De Grazia”

Il nucleare è un’ “opinione”?…

13 marzo 2011 Commenti chiusi

Se si rompe una pala eolica?……si ripara!

Se si rompono i pannelli fotovoltaici?…

Si aggiustano!

ma se si rompe una centrale nucleare?


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Discarica di Pittelli. Tutti assolti

13 marzo 2011 Commenti chiusi

Le quattro vasche cariche di veleni, che i tecnici ritengono ormai non più bonificabili, rimarranno come un monumento eterno all’Italia dell’impunità.

di Andrea Palladino

Tutti assolti perché «il fatto non sussiste». Si conclude nel nulla il processo sul sotterramento di rifiuti tossici nella discarica spezzina, che ha provocato uno dei peggiori disastri ecologici nella storia d’Italia. A nulla sono servite le denunce presentate da associazioni e cittadini. Dopo 15 anni di inchieste, tutti assolti gli undici imputati per il disastro ambientale di Pitelli, a La Spezia

La Spezia - È un silenzio plumbeo quello che ieri è calato sulla collina dei veleni. La discarica di Pitelli – che sovrasta il golfo dei poeti di La Spezia - è ormai chiusa dal 1996, quando la forestale sequestrò definitivamente gli impianti, eseguendo un ordine arrivato dalla procura di Asti. Ma le quattro vasche cariche di veleni, che i tecnici ritengono ormai non più bonificabili, rimarranno come un monumento eterno all’Italia dell’impunità.
Non c’è un colpevole, non è stato commesso nessun reato, questo hanno detto i giudici, dopo una camera di consiglio di poche ore, terminata con la sentenza di assoluzione per tutti gli imputati. «Il fatto non sussiste», recita con freddezza il codice. Con un dubbio finale, contenuto nel secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale, citato nel dispositivo, che corrisponde grosso modo all’insufficienza di prove del vecchio codice di procedura penale.
Ora la città di La Spezia rimarrà ancora una volta sola di fronte ad un dubbio, che si trascina da decenni: come è stato possibile veder crescere la più grande discarica di rifiuti industriali nel mezzo di una zona che era stata dichiarata a tutela paesaggistica? «Qui per la legge non si poteva neanche cogliere un fiore», aveva spiegato Roberto Lamma, avvocato di Legambiente, parte civile nel processo. Eppure dall’agosto del 1976 Orazio Duvia, un imprenditore con un passato sostanzialmente incolore e sconosciuto, aveva costruito un vero e proprio impero della monnezza sui terreni che dominano il golfo di La Spezia. Roba pesante, a leggere le perizie. Fusti che provenivano da tutta Italia, svuotati in quattro invasi costruiti uno sopra l’altro, grazie all’intero sistema politico, amministrativo e giudiziario che per anni non ha voluto vedere quello che stava accadendo.
Ci volle la tenacia di Luciano Tarditi, un pubblico ministero di Asti, per scoperchiare il vaso di Pandora di Pitelli. «I colleghi di La Spezia mi dissero che data la gravità del problema – raccontò Tarditi davanti alla commissione rifiuti presieduta da Massimo Scalia – sarebbe stato opportuno che se ne occupasse una procura di fuori». Un’ombra che pesava sulla città che per un decennio aveva ignorato le tante denunce presentate da cittadini e associazioni ambientaliste sulla discarica che cresceva sulla collina. Un sospetto che si rafforzò quando si scoprì che alcuni ufficiali di polizia giudiziaria svolgevano un secondo lavoro pomeridiano negli uffici di Orazio Duvia, il padrone di Pitelli.
Ci vorranno novanta giorni ora per poter leggere le motivazioni di una sentenza che – codice alla mano – lascia aperta la porta del dubbio. I giudici dovranno chiarire perché non può essere considerato «disastro ambientale doloso» lo sversamento continuo e indisturbato di veleni per i vent’anni di funzionamento della discarica. Dovremo capire per quale motivo Orazio Duvia confessò, quando venne arrestato nel 1996, di aver sistematicamente corrotto «funzionari istruttori, dipendenti di enti pubblici, partiti, politici con ruoli decisionali», come si legge nel rinvio a giudizio. Una accusa, quella di corruzione, che venne confermata dal ritrovamento di un vero e proprio brogliaccio delle tangenti, un libro a partita doppia dei soldi versati per anni. Un reato finito in prescrizione, già diversi anni fa.
Alla fine della fase preliminare del processo era rimasto in piedi solo il reato di disastro ambientale doloso, che, per la sua gravità, ha tempi di prescrizione molto più lunghi. Un vero e proprio macigno che pendeva sulla testa degli undici imputati coinvolti. Non tutti si sentivano così sicuri di arrivare ad una assoluzione, di fronte alla gravità delle accuse: Giancarlo Motta – uno dei principali soci di Orazio Duvia nella Sistemi Ambientali, l’impresa che ha gestito l’ultima fase della storia di Pitelli – aveva chiesto di poter patteggiare. Non ci fu l’accordo con la Procura, che riteneva la pena proposta eccessivamente ridotta. Un episodio processuale che oggi suona come una beffa.
Le udienze si sono svolte nella sostanziale indifferenza della città. Il principale imputato, Orazio Duvia, non si è mai fatto vedere in Tribunale, preferendo mandare il suo braccio destro Franco Bertolla ad annotare quello che accadeva. Non sono solo gli imputati i grandi assenti. Buona parte delle testimonianze sono state titubanti, non confermando molto spesso il quadro emerso durante le indagini preliminari. «Spesso i testimoni venivano ammoniti che quello che avrebbero dichiarato poteva essere utilizzato contro di loro», ricorda Corrado Cucciniello dei comitati di Pitelli. Il collegio non ha poi ritenuto di ammettere la visione di un video realizzato dalla Forestale di La Spezia, che descriveva nei dettagli come si era trasformata la collina dei veleni. Immagini che potevano creare suggestione, venne detto.
Eppure le indagini condotte dalla forestale di La Spezia erano state puntigliose, precise nella descrizione dei rifiuti accolti dalla discarica di Pitelli. «Tre milioni di kg di rifiuti tossico nocivi, scarti di specialità medicinali dell’industria farmaceutica, 17.800 tonnellate di scorie da attività di termodistruzione di rifiuti solidi urbani, 116 tonnellate di fanghi, solventi vari quali toluene, xilene e benzene, fusti contenti terre di bonifica, solventi organici, ceneri leggere, fibrocemento, polveri di abbattimento dei fumi di fonderia, scorie alluminose e altro materiale non identificato», recitava il capo di imputazione. Sostanze in grado di distruggere ogni forma di vita dove venivano sversate. O di uccidere, se inalate o ingerite da un essere umano. Indagini che non sono bastate per accertare il disastro ambientale.
È impressionante oggi scorrere il libro nero di Pitelli, ovvero la cartina d’Italia virtuale che mostra la provenienza di buona parte dei rifiuti tossici. Oltre a La Spezia i luoghi d’origine dei veleni di Pitelli andavano dalla Lombardia alla Toscana, dal Piemonte al Molise, in una sorta di nodo centrale dove confluivano carichi di veleni e interessi mai approfonditi fino in fondo. Un centro di interessi dove doveva terminare l’ultimo viaggio del capitano De Grazia, morto sulla strada per La Spezia, alla ricerca di una verità ancora lontana.

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Cinquefrondi (RC) Il comune non paga e Sorical chiude l’acqua.

13 marzo 2011 Commenti chiusi

Cinquefrondi (RC) - Oltre un centinaio di cittadini di Cinquefrondi ha manifestato davanti all’acquedotto comunale dove la Sorical ha fatto presidiare l’impianto da vigilantes e Carabinieri. Il comitato ha chiesto l’immediata erogazione da parte di Sorical del quantitativo necessario di acqua alla vita delle persone. Il clima in paese è stato estremamente teso perchè per 3 giorni  i rubinetti sono stati a secco. Anche le scuole, sono rimaste chiuse per un’ordinanza del sindaco.

Le conseguenze della privatizzazione.
La Sorical ha provveduto a ridurre l’erogazione idrica per il comune di Cinquefrondi che non ha pagato le forniture dell’acqua. “La riduzione – secondo la Sorical –  è, come al solito, operata secondo i parametri di autosufficienza per la popolazione. A fronte del servizio idrico ininterrottamente reso dalla Società, il Comune di Cinquefrondi – si legge in una nota – ha maturato un debito, al netto dei pagamenti in acconto corrisposti, pari ad 1.178.939,82 di euro. Il predetto ingiustificato inadempimento, che e’ pari al 60% di quanto So.Ri.Cal. ha fatturato ad oggi all’Ente, sta contribuendo a compromettere fortemente il mantenimento dell’equilibrio economico – finanziario della Società  So.Ri.Cal., al fine di recuperare l’intero credito ad essa dovuto per il servizio de quo, ha già attivato ben tre procedure giudiziali che, in fase istruttoria, hanno confermato la correttezza degli addebiti operati dalla Società nei confronti dell’Ente”.

Ma secondo gli abitanti della cittadina reggina, l’acqua, bene pubblico e vitale per i cittadini, a Cinquefrondi non è più un diritto. “Dal 2005 al 2010 abbiamo sempre provveduto – ha dichiarato il sindaco Marco Cascarano – a pagare in acconto le fatture di Sorical in attesa del pronunciamento della magistratura alla quale il comune di era rivolto proprio per fare luce su alcune responsabilità di Sorical. Ebbene , senza avvertirci, Sorical ha quasi completamente ridotto le forniture lasciando scuole e cittadini senza il prezioso liquido. Ho fatto intervenire i carabinieri e denuncerò Sorical alla Procura per interruzione di un pubblico bene”.

Dopo tre giorni senz’acqua è montata la protesta dei cittadini davanti all’acquedotto comunale ritenuto un bene pubblico ma che è stato presidiato dalle forze dell’ordine. E’ dovuto intervenire il prefetto per mettere intorno allo stesso tavolo dirigenti Sorical e amministratori comunali. Si sono delineate possibili ipotesi di soluzione della controversia che l’amministrazione si riserva di approfondire in due settimane, per cui si è deciso di aggiornare la riunione al prossimo 25 marzo.
Intanto il prefetto ha invitato Sorical a riprendere con immediatezza il normale servizio di fornitura dell’acqua ai cittadini.

Guarda il servizio del TGR Calabria

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Il Governo italiano esporta rifiuti pericolosi in Spagna dove vengono sepolti senza esser trattati

11 marzo 2011 Commenti chiusi

NAVI DEI VELENI
Nel rio Tinto i rifiuti industriali di Pioltello

di Andrea Palladino

Rifiuti pericolosi dall’Italia alla Spagna, con l’avallo del ministero dell’Ambiente. Provengono dalla bonifica di un’area ex industriale nel milanese, per la quale l’Italia rischiava una sanzione europea. Destinazione: la discarica di Nerva, in un territorio protetto. La protesta degli ambientalisti spagnoli, di Izquierda unida e di Greenpeace. I veleni provenienti dalla dismissione di una fabbrica chimica, la Sisas, in una discarica e un fiume andalusi.

Rio Tinto

Nerva (Spagna) – Chi si aspetta una terra di Andalusia secca ed inospitale dalle parti di Nerva rimarrà sorpreso. La terra al nord di Siviglia è bagnata dal Rio Tinto, che nella vallata di Nerva sembra voler inglobare tutto. È un luogo dimenticato, fuori dai normali itinerari turistici, interrotto dai resti delle miniere, con i colori grigi del ferro che costellano il paesaggio. E il nero dei fumi di Pioltello, intriso di mercurio e idrocarburi, che oggi cola verso il fiume dal deposito di rifiuti della società Befesa, ultima tappa del tour italiano di un pericoloso carico di scorie industriali. Come negli anni ’80 e ’90 – quando dai porti di Marina di Carrara e di La Spezia partivano le navi dei veleni dirette in Africa – dai docks nostrani continuano a salpare in queste ore i cargo carichi di rifiuti pericolosi, sotto la diretta egida del ministero dell’Ambiente. Una storia già anticipata dal manifesto lo scorso 18 febbraio e che oggi si arricchisce di nuovi e gravi dettagli.
«Quello che avviene è semplicemente un deposito, senza nessun trattamento, e in più la gestione è nulla o pessima – racconta al telefono Juan Romero, di Ecologistas en Accion dell’Andalusia – Questa discarica di Nerva ha un’alta quantità di acqua e stanno mescolando direttamente i rifiuti pericolosi che arrivano dall’Italia con i liquidi che ristagnano». Il risultato è devastante: «Si crea una reazione chimica e l’acqua che filtra insieme alla pioggia finisce nel Rio Tinto. Una fine paradossale, visto che questo fiume è stato dichiarato dalla stessa Unione europea come luogo di interesse comunitario». Quella stessa commissione che ha imposto all’Italia di bonificare il sito industriale dell’ex Sisas da dove vengono i rifiuti finiti in fondo al Rio Tinto, in piena Andalusia. E sarà forse un caso, ma l’ispezione che doveva avvenire la scorsa settimana a Pioltello da parte della Direzione Ambiente della Commissione Europea è saltata, senza un apparente motivo. I commissari dovevano verificare che la bonifica fosse stata realizzata secondo i criteri di legge, ma nessuno si presentato. Il viaggio veleni può dunque continuare indisturbato.
Per capire la gravità di quanto sta accadendo occorre partire dalla periferia industriale di Milano, dove sorgeva l’area della Sisas, polo chimico dismesso, destinato oggi ad ospitare metri cubi di cemento. Le terre qui erano intrise di veleni. Da anni si parlava della bonifica, fino a quando – pena pesanti sanzioni comunitarie – il commissario straordinario Luigi Pelaggi, braccio destro del ministro Prestigiacomo, ha affidato l’intervento alla Daneco dei fratelli Colucci, grandi finanziatori del Pdl fin dai primi anni 2000. La destinazione della discarica di Nerva era già prevista, nero su bianco, nella relazione tecnica del luglio dello scorso anno, firmata dallo studio di Claudio Tedesi. Un nome noto alle cronache giudiziarie lombarde, dopo che la Procura di Milano lo ha indagato lo scorso anno per la bonifica di Santa Giulia, affidata al gruppo Green Holding di Giuseppe Grossi, arrestato nel 2009. Ero lo stesso Grossi ad avere in carico la bonifica dell’ex Sisas, progetto che abbandonò nel corso del 2010. Un incrocio tra interessi, tecnici e gruppi lombardi che da anni gestiscono bonifiche e rifiuti industriali, sfiorando il sistema milanese dei poteri forti, come quello di Comunione e Liberazione, area di riferimento per Claudio Tedesi.
Cosa sta uscendo dalla bonifica dell’area Sisas di Pioltello? Secondo alcune analisi che il manifesto ha potuto consultare si tratta di rifiuti pericolosi che, secondo la normativa europea, non possono finire in discarica senza passare per un trattamento specifico. La conferma della presenza di scorie pericolose (classificate secondo il codice europeo 191301) è contenuta all’interno della stessa relazione firmata dallo studio di consulenza di Claudio Tedesi. Le analisi di laboratorio realizzate anche successivamente mostrano un superamento dei limiti di legge per almeno tre elementi pericolosi: il mercurio, il carbonio organico totale (Toc) e alcuni idrocarburi aromatici. Le direttive comunitarie – adottate sia dall’Italia che dalla Spagna – sono chiare in questo senso: questo tipo di rifiuto, ritenuto pericoloso, deve essere trattato e non gettato nelle discariche, come sta avvenendo in queste ore a Nerva, secondo quanto riferisce l’associazione Ecologistas en Accion. Una denuncia supportata da un’ampia documentazione fotografica, realizzata nei giorni scorsi mentre i rifiuti lombardi entravano nell’invaso di Nerva.
La destinazione finale delle scorie pericolose di Pioltello – la discarica di Nerva che appare nelle foto – è la peggior soluzione. Da anni gli ambientalisti spagnoli si battono per chiusura e messa in sicurezza del sito, che sta contaminando il Rio Tinto. Dalle fotografie realizzate appare evidente la mancanza delle strutture minime che dovrebbero garantire il corretto trattamento delle scorie pericolose di Pioltello: manca, ad esempio, la gestione dei biogas nella zona dove sono svuotati i big bags, oltre alle attrezzature necessarie per il trattamento dei rifiuti pericolosi.

la Sisas di Pioltello

La partenza delle navi con le terre contaminate di Pioltello non si ferma, dunque. La denuncia fatta da Izquierda Unida in Spagna – che nei giorni scorsi ha presentato una petizione al Parlamento europeo – non ha per ora attivato le autorità spagnole o italiane. Se, come denunciano le associazioni ambientaliste spagnole, i residui della bonifica di Pioltello non potevano finire nella discarica nel cuore dell’Andalusia, si tratterebbe di una gigantesca operazione illegale, con l’aggravante di vedere coinvolto direttamente il ministero dell’Ambiente e la Regione Lombardia. Una situazione che ricorda quello che per anni è avvenuto in luoghi come Pitelli, la collina dei veleni sul golfo di La Spezia, il cui processo di primo grado terminerà il 10 marzo prossimo, dopo dieci anni di udienze. Una impunità che è la madre di tutti i traffici di rifiuti, che ancora oggi solcano il Mar mediterraneo.

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Amantea Referendum, costituito il comitato comprensoriale “2 si per l’acqua bene comune”

10 marzo 2011 Commenti chiusi

Costituiti gruppi di lavoro per diffondere tra i cittadini notizie sul referendum dell’acqua.
Posa: «Le multinazionali devono conseguire dei profitti e non possono garantire la solidarietà tra i cittadini».

di Asmara Bassetti

Amantea - Venerdì 4 marzo, nella sede di Amantea del comitato civico Natale De Grazia, si è costituito il Comitato comprensoriale “2 SI PER L’ACQUA BENE COMUNE” contro la privatizzazione dell’acqua, per far vincere il SÌ al referendum.
Ad invitare associazioni, parrocchie, sindaci, rappresentanti delle istituzioni e singoli cittadini di Amantea e dei paesi limitrofi, ci ha pensato il comitato “Natale De Grazia”, che già da qualche mese, con impegno e costanza, sta provando a sensibilizzare la popolazione ad andare a votare al referendum che si terrà il 12 giugno. Alla riunione ha partecipato anche l’assessore Sergio Tempo in rappresentanza dell’amministrazione comunale di Amantea.

Grazie a 1.400.000 firme, la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili due dei tre referendum contro la privatizzazione dell’acqua, ma il ministro degli interni Maroni ha stabilito che i referendum si terranno l’ultimo fine settimana utile alle votazioni vanificando almeno per adesso gli sforzi dei movimenti per l’acqua che avevano chiesto alle istituzioni di unificare i referendum con le elezioni amministrative del prossimo 15 maggio facendo risparmiare così agli italiani 400milioni di euro. Per tale ragione diventa fondamentale l’apporto di ogni cittadino per riuscire a motivare più gente possibile ad andare a votare, e far votare due Si per evitare che l’acqua, che è un bene comune, non finisca nelle mani dei privati diventando una merce su cui speculare.

“E’ un dovere dei cittadini contribuire alla copertura delle spese del servizio idrico – ha affermato Gianfranco Posa presidente del De Grazia – perché portare l’acqua dalle sorgenti nelle nostre case ha un costo. Ma se a gestire il servizio sono i privati a tale costo sarà aggiunto un surplus, perché i privati devono, giustamente, rispondere alle leggi del mercato e un buon imprenditore non è tale se non raggiunge il conseguimento di profitti. Se a gestire il servizio è invece un ente pubblico dovrà occuparsi di coprire i costi meramente necessari a portare acqua potabile nelle nostre case ed eventualmente potrà chiedere ai cittadini di pagare qualcosa in più per le famiglie che vivono in povertà ma che dell’acqua non possono fare a meno. E’ inverosimile pensare che una società multinazionale si preoccupi delle famiglie in stato di bisogno e come già successo in altri comuni a tutti i contribuenti che non pagheranno sarà tagliata l’acqua senza far differenza tra i “furbi” che intendono evadere i tributi e  chi vive in stato di povertà”.

Durante la riunione si sono formati dei gruppi operativi. Ci sarà infatti chi si occuperà di diffondere capillarmente con volantini e altri mezzi di comunicazione notizie sui referendum; altri si occuperanno della comunicazione via web diffondendo appelli su internet; un altro gruppo si occuperà di organizzare eventi o spettacoli teatrali per sensibilizzare anche i bambini sull’importanza dell’acqua che è un bene finito e che non va sprecato. Per quanto riguarda invece gli istituti scolastici superiori, verrà indetto, un concorso letterario sul tema dell’acqua, i vincitori saranno premiati con dei libri messi a disposizione dei volontari ma anche da alcune case editrici calabresi in primis la Rubettino che si è già detta disponibile a partecipare all’iniziativa.

Il governo decide per Referendum a giugno che costeranno ai cittadini 400 milioni di euro in più

5 marzo 2011 Commenti chiusi

400milioni di euro è il prezzo che il governo ha deciso di far pagare ai cittadini per non voler accorpare i referendum con le elezioni amministrative.
Il Governo – che sui temi dell’acqua sa di essere minoranza – dimostra di aver paura che si possa raggiungere il quorum e che i cittadini cancellino le norme con le quali ha concesso l’Acqua ai privati.

di Corrado Oddi*

Corrado Oddi

Non ci si può certo lamentare della prontezza di riflessi del ministro Maroni. Proprio nel momento in cui i Comitati referendari manifestavano sotto Montecitorio per chiedere l’accorpamento della scadenza referendaria con le prossime amministrative, è arrivata perentoria la sua risposta per cui i referendum si debbano tenere il 12 giugno, ultima data utile tra quelle previste dalla legge. Il ministro si guarda bene dal confrontarsi con le ragioni da noi avanzate, e cioè che l’accorpamento farebbe risparmiare circa 400 milioni di euro alle casse dello Stato e che tale scelta valorizzerebbe l’istanza partecipativa insita nell’istituto referendario.

Il Governo sa bene, in particolare per quanto riguarda i 2 referendum volti alla ripubblicizzazione del servizio idrico, di essere minoranza nel Paese e si attrezza di conseguenza. A maggior ragione, vale la pena mettersi a lavorare di lena perché anche questa strategia di disincentivo alla partecipazione possa essere sonoramente smentita dai fatti.

Intanto, a questo fine, servirà che la manifestazione nazionale del prossimo 26 marzo lanciata dal Comitato referendario “2 Sì per l’acqua bene comune” e promossa da una larghissima coalizione sociale, che nei fatti aprirà la campagna referendaria per la ripubblicizzazione del servizio idrico e che intende anche connettersi con la battaglia contro il nucleare e per la difesa dei beni comuni, sia grande, allegra e partecipata. E che faccia da volano per una forte e capillare mobilitazione dei Comitati territoriali, delle organizzazioni sociali e delle forze politiche che hanno sostenuto i referendum per l’acqua, con l’idea che, anche nonostante il silenzio dei grandi mass media e la strategia astensionista del governo, si riesca a raggiungere la grandissima parte dei cittadini, informarli sullo svolgimento del referendum e sulle ragioni del voto per il sì.

Ce la possiamo fare, intanto, perché mossi dalla consapevolezza che la vittoria referendaria per sottrarre l’acqua al mercato e alle privatizzazioni (e anche per fermare il nucleare) può aprire una nuova stagione in grado di invertire la rotta rispetto alle scelte di ispirazione neoliberista che si sono affermate da molti anni a questa parte e di iniziare a battere il “berlusconismo” sul piano dei contenuti. In particolare ce la possiamo fare, partendo dal riconoscimento che i 2 referendum per l’acqua bene comune hanno anche il valore aggiunto di essere promossi da una larga coalizione sociale e sostenuti da 1.400.000 cittadini, la più grande raccolta di firme realizzata nella storia referendaria del nostro Paese.

Un percorso che va rispettato dalla politica, in primo luogo da Italia dei Valori, evitando di intestarsi referendum di cui non si è stati promotori, e che, anzi, va visto come portatore di nuove forme della partecipazione alle vicende politiche e sociali. Anche su questa base, continueremo a chiedere che i referendum vengano accorpati alle elezioni amministrative e lavoreremo perché, se proprio Maroni vorrà andare al mare a giugno, ci vada da solo o con una ristretta compagnia.

*Forum Italiano Movimenti per l’Acqua

26 marzo 2011

Ore 14.00 – Piazza della Repubblica

Manifestazione nazionale a Roma

VOTA SI’ AI REFERENDUM PER L’ACQUA BENE COMUNE!

Una giornata all’insegna del “SI”

1 marzo 2011 Commenti chiusi

Referendum Acqua. Il De Grazia in piazza per sostenere le ragioni del SI”

Domenica scorsa in mattinata gazebo ad Amantea e nel nel pomeriggio  “Festival popolare della salsiccia” a Belmonte.

di Asmara Bassetti

AMANTEA 27 febbraio, – Con il sole dalla loro parte, gli attivisti del comitato civico “Natale De Grazia”  si sono ritrovati domenica scorsa in piazza Commercio per sensibilizzare la popolazione in vista del referendum contro la privatizzazione dell’acqua che si dovrebbe tenere tra il prossimo 15 maggio e il 15 giugno.

Alle dieci e trenta era già tutto pronto sotto il gazebo e si è dato il via alla distribuzione di volantini informativi e la raccolta di contributi economici per  finanziare la campagna referendaria in cambio venivano distribuiti piccoli gadget realizzati artigianalmente da Roberta Rappini, attivista del De Grazia, mentre qualche palloncino con impresso lo slogan “2 si per l’acqua bene comune” veniva distribuito ai bimbi che passeggiavano con i genitori.

Il referendum sull’acqua pubblica è un esempio concreto di “democrazia partecipata”. I quesiti referendari sono stati voluti e e realizzati da semplici cittadini (lontani dai partiti) che oggi ne curano anche la promozione sostenendo di tasca propria e con i contributi dei singoli le spese.

Affinché i referendum abbiano validità sarà necessario raggiungere il quorum, ovvero bisognerà convincere ad andare a votare il 50% più uno degli aventi diritti al voto. Fanno  comunque ben sperare sia l’interesse e la partecipazione della gente ad iniziative come quelle di domenica, sia il milione e mezzo di firme che hanno accompagnato la presentazione dei quesiti referendari.

Nel pomeriggio gli attivisti del comitato si sono spostati nel comune Belmonte Calabro dove hanno partecipato, presso la biblioteca comunale, al “Festival popolare della salsiccia casereccia”. Questa iniziativa, promossa dal Gruppo Attivo Belmonte, dall’Associazione Nero di Calabria e dalla locale Pro loco e coordinata con grande impegno da Mario Arlia, prevedeva la competizione, appunto, di produttori artigianali del tipico salume calabrese. Una giuria dal palato fine ha assegnato alla commossa vincitrice, quale premio, un maialino nero. L’intera iniziativa è stata approntata sul tema dell’acqua pubblica e sulla promozione dei referendum con un intervento finale di Gianfranco Posa, Portavoce del comitato “Natale De Grazia”, che ha illustrato le ragioni del  “si” e l’importanza di come ognuno debba impegnarsi per convincere più persone possibili ad andare a votare “2 si per l’acqua bene comune”.

La serata si è conclusa con un “happy hour” a base di prodotti tipici, ottimo vino e salumi di maiale nero di Calabria, il tutto allietato con della buona musica popolare che ha animato il borgo antico del comune di Belmonte Calabro.
Il ricavato dell’happy hour è stato devoluto al finanziamento della campagna referendaria.

Referendum acqua pubblica, domenica due iniziative per sostenere le ragioni del “SI”

25 febbraio 2011 Commenti chiusi

I sostenitori in piazza con un gazebo ad Amantea. A Belmonte “Festival popolare della salsiccia casereccia” ed Happy Hour

AMANTEA, 25 febbraio 2011 Mobilitarsi tutti contro la privatizzazione dell’acqua e sostenere così le ragioni del “SI” ai due referendum per l’abolizione delle norme che permettono ai privati di gestire l’acqua pubblica.  Con queste finalità il popolo del “Si all’acqua pubblica” si attiva anche sul basso Tirreno cosentino con una serie di manifestazioni che animeranno domenica 27 febbraio prossimo Amantea e Belmonte Calabro.

Si inizierà ad Amantea nella mattinata dove a partire dalle ore 10 sarà allestito un gazebo nella centralissima piazza Commercio per informare i cittadini sui rischi che la privatizzazione di un bene essenziale come l’acqua comporterebbe sul futuro immediato dei territori e sulla necessità di votare “si” ai due quesiti referendari che la Consulta ha ammesso sulle norme che consentono la privatizzazione dell’acqua. Inoltre gli attivisti saranno in piazza per l’intera mattinata per raccogliere fondi necessari a sostenere l’intera campagna referendaria a favore dell’acqua bene comune. All’interno del gazebo saranno distribuiti materiale informativo sui prossimi quesiti referendari e dei simpatici gadgets, tra cui alcuni ciondoli realizzati a mano con colla e farina di mais, a quanti decideranno di sostenere il nascente comitato comprensoriale “2 SI PER L’ACQUA BENE COMUNE”.

Le attività si sposteranno poi nel pomeriggio a Belmonte Calabro con un happenig veramente particolare. Nel centro storico della cittadina tirrenica infatti si svolgerà il primo “Festival popolare della salsiccia casereccia”. Questa iniziativa, promossa dal Gruppo Attivo Belmonte, dall’Associazione Nero di Calabria e dalla locale Pro loco, prevede la competizione, appunto, di produttori artigianali del tipico salume calabrese. La manifestazione si svolgerà a partire dalle 15,30 nella sala polivalente delle Biblioteca Comunale dove i produttori potranno iscriversi portando con sé i loro salumi realizzati con tecniche rigorosamente artigianali. Una giuria di esperti valuterà il vincitore al quale sarà assegnato un’esemplare di maialino della specie Nero di Calabria. Nel corso del festival gli attivisti del “Comitato Natale De Grazia”, tra i primi sostenitori dell’iniziativa referendaria, spiegheranno le ragioni del “si” al referendum. Inoltre si svolgerà un happy hour a base dei tanti prodotti tipici derivanti dalla lavorazione del maiale nero di Calabria accompagnati da cocktail un rivisitato a base di vino locale e neuroni. Tutte iniziative che serviranno ad autofinanziare le prossime azioni del costituendo comitato referendario.

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Fare Rete contro Rifiuti e malaffare

19 febbraio 2011 Commenti chiusi

L’ultima spiaggia. Un saggio di geografia disumana

Proiettato a Lamezia il documentario di Massimo De Pascale. Al dibattito hanno partecipato, oltre al regista, gli attivisti del comitato De Grazia e don Giacomo Panizza. «Senza associazioni come il De Grazia, la mafia avrebbe già vinto»

di Asmara Bassetti

Lamezia Terme – Il 15 febbraio scorso, presso la Sala Sintonia di Lamezia Terme, organizzato dall’Associazione Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme in collaborazione con “R-Evolution  Legalità”, è stato proiettato il documentario “L’ultima spiaggia. Un saggio di geografia disumana”, realizzato lo scorso anno dal regista Massimo De Pascale con la collaborazione di Nicola Carvello che ha curato riprese e montaggio.

Incentrato sul tema del traffico dei rifiuti che riguarda la Calabria, il cortometraggio è ricco di testimonianze di persone che, sulla loro pelle o su quella dei propri cari, ha provato cosa significa ammalarsi di tumore a causa, probabilmente, dei rifiuti pericolosi che giacciono seppelliti nelle zone in cui vivono, o nei pressi di un fiume, che mai nessuno avrebbe potuto immaginare, potesse portare, insieme allo scorrere di acque limpide – ma solo all’apparenza -, tanto dolore e tanta sofferenza.

Si parla del mistero della Jolly Rosso, spiaggiatasi ormai 20 anni fa, sulle coste di Amantea il cui carico si sospettava fosse stato interrato nel vicino fiume Oliva ma che mai nessuna procura è riuscita a dimostrare e delle numerose navi fatte colare a picco lungo le coste calabresi, per smaltire illegalmente carichi di rifiuti tossici e radioattivi.

Alla fine della proiezione, Gianfranco Posa, presidente del Comitato Civico “Natale De Grazia” di Amantea – chiamato così in onore del capitano che, in circostanze ancora da chiarire, morì nel 1995 mentre si recava a La Spezia per le indagini sulle cosiddette “navi a perdere” – ha risposto alle domande del numeroso pubblico, che si è mostrato attento alla problematica, e desideroso di ottenere – come spera il comitato – le risposte che ancora non sono state fornite in modo esauriente.

«E’ ormai certo che il fiume Oliva è stato utilizzato negli anni come discarica abusiva di rifiuti speciali – ha affermato il presidente del comitato De Grazia -. Ditte regolarmente operanti sul mercato locale affiancano ad attività lecite anche attività illegali come lo smaltimento dei rifiuti pericolosi e questo, per la quantità di rifiuti sepolti e per i lunghi tempi necessari al loro interramento, non è potuto avvenire senza la complicità delle istituzioni deputate al controllo del territorio. In seguito alle analisi e ai carotaggi effettuati dall’Arpa Calabria e dell’Ispra (non totalmente combacianti tra loro) si presume – dichiara il presidente del comitato – che nella cava dismessa la radiazione rilevata sia di origine naturale, ma non per questo va certamente sottovalutata ma, anzi, va monitorata ed eventualmente schermata e – continua – è certo che terremo alta l’attenzione per chiedere in ogni caso la bonifica, almeno per quanto riguarda le zone ritenute più pericolose. In questi giorni – ha concluso Posa – sono state ripetute operazioni di carotaggio e approfondimento di analisi sulle alte concentrazioni di cesio137 trovate in alcune zone dell’Oliva anche a profondità rilevanti non compatibili con il  fallout di Chernobyl».

Presenti anche il regista Massimo De Pascale, che ha chiarito qualche quesito posto sul documentario, e don Giacomo Panizza, il prete antimafia che, durante la manifestazione contro le navi dei veleni del 24 ottobre 2009 ad Amantea, aveva presenziato l’intitolazione del lungomare a Natale De Grazia.

«E’ dalle piccole comunità che si inizia a cambiare – dice Panizza – e se gruppi e comitati, come quello presente stasera, non ci fossero, la mafia avrebbe già vinto».

E allora prendiamo esempio: non giriamoci dall’altra parte quando qualcosa non va, non facciamo finta di niente, ma a testa alta, combattiamo e ribelliamoci!

La nostra forza e il nostro coraggio, verranno prima o poi premiati!

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