L’UTIMATUM DEI CALABRESI CHE S’ARRABBIANO
Claudio Dionesalvi sul n. 36 di CARTA
settimanale 16/22 ottobre 2009
È una mobilitazione che cresce, minuto dopo minuto, centimetro per centimetro.
Scende in piazza sabato 24 ottobre ad Amantea, in provincia di Cosenza, la Calabria che non vuole lasciarsi schiacciare dalle tonnellate di scorie tossiche e radioattive scaricate in mare e sottoterra, tra gli
anni ottanta e novanta, da oscuri criminali che avrebbero lavorato al soldo di imprese e Paesi interessati allo smaltimento di rifiuti nucleari.
Appuntamento alle ore 9, nel piazzale Eroi del Mare, sul lungomare Natale De Grazia. Sarà una prima resa dei conti col governo, con la regione e tutti gli enti preposti. Perché da mesi è tornata ad esplodere
la vicenda delle cosiddette “navi a perdere”, ma non è stata ancora fornita alcuna risposta alle domande poste da milioni di persone.
Eppure, quaggiù il numero dei malati di tumore è sei volte più alto del resto d’Italia, la vendita di pesce è calata dell’80 per cento e le previsioni sui flussi turistici per il 2010 sono catastrofiche.
I documenti prodotti dai locali comitati spontanei che stanno sorgendo ovunque, spiegano gli obiettivi della manifestazione del 24. Si chiederà “che venga recuperato ed analizzato al più presto” il relitto contenente “i fusti sommersi a 480 metri di profondità al largo di Cetraro”,
individuato qualche settimana fa da un robot sottomarino sulla base delle dichiarazioni di un pentito di mafia che sostiene si tratti della “Motonave Cunski, affondata dalla ‘ndrangheta per conto di bande
assassine e di chissà quali servizi segreti nazionali ed internazionali”. I fusti conterrebbero scorie tossiche e radioattive come quelle che secondo alcune ipotesi investigative sarebbero state
trasportate dalla motonave Jolly Rosso, spiaggiata nei pressi di Amantea nel dicembre 1990. Questi veleni sarebbero stati interrati nella valle del vicino fiume Oliva”. Siccome si conoscono i luoghi dove risultano sepolti i rifiuti, tali siti devono essere “immediatamente bonificati”!
Innumerevoli assemblee e pubblici dibattiti si sono svolti nelle ultime settimane. Tra le iniziative più partecipate, spiccano quelle di San Pietro in Amantea, Aiello Calabro, Amantea, Diamante, Cetraro, Reggio Calabria, Verbicaro, Rende, Cosenza, Acri ed Orsomarso. Comitati come il “Natale De Grazia”, attivo da tanti anni, ribadiscono che tra gli obiettivi del movimento c’è la riapertura dell’inchiesta sulla Jolly Rosso: “che siano perseguiti i responsabili del tentato affondamento” e del seppellimento dei rifiuti, “delle ditte che vi hanno lavorato e di coloro che hanno depistato più volte l’inchiesta”.
Insieme a Legambiente, ai sindacati ed alle associazioni, il “De Grazia” lotta inoltre affinché “venga dichiarato dal governo lo stato d’emergenza in tutto il territorio costiero che va da Maratea ad Amantea
e nei siti contaminati come Crotone e la Sibaritide; che vengano indennizzati tutti i pescatori della costa e i contadini della valle dell’Olivo e tutte quelle categorie che vivono di turismo; che venga
effettuata un’analisi epidemiologica in tutta la costa tirrenica e in tutta la regione”; che si istituisca e sia reso pubblico il registro dei tumori”; che venga aperta un’inchiesta per fare chiarezza sulla morte
sospetta del capitano Natale De Grazia; che riprendano i processi riguardanti i disastri ambientali giacenti nelle varie procure calabresi”; che vengano dati “mezzi e risorse” per il recupero della
nave Yvonne davanti Maratea.
È prevedibile che il corteo del 24 raccolga i movimenti di difesa del territorio, attivi negli ultimi anni dalla Lucania alla Sicilia.
Soprattutto, convergeranno su Amantea quanti si sono battuti contro i progetti di devastazione ambientale portati avanti dal governo centrale, dalla classe politica che amministra il malgoverno locale e dalle multinazionali. Saranno i coordinamenti per la difesa dei beni comuni ad animare le mobilitazioni che è presumibile si svilupperanno con intensità crescente fino all’estate prossima.
La provincia di Cosenza è attraversata da reti che lottano contro la centrale del Mercure, l’elettrodotto Laino-Rizziconi, l’inceneritore di San Lorenzo del Vallo, il termovalorizzatore di Rende e Montalto, la
discarica di Scala Coeli. Inoltre, la recente ipotesi di omicidio colposo, formulata dalla procura di Paola a carico di dieci indagati per i quaranta operai della Marlane di Praia morti di cancro, rende
l’atmosfera ancora più incandescente.
Resta da capire se questo moto di indignazione popolare può sfociare in un movimento forte ed incisivo, qualcosa di simile a quanto accaduto negli anni passati in altre zone d’Italia. È automatico pensare alla Val Di Susa dei movimenti contro l’Alta velocità ed alla Basilicata della rivolta di Scanzano contro le scori nucleari.
Ed affiora con chiarezza l’importanza del lavoro d’inchiesta svolto da ambientalisti come Francesco Cirillo che per anni ha bussato alle porte del tribunale di Paola, o l’avvocato Rodolfo Ambrosio di Legambiente, che rimbalza da un tribunale all’altro per costituirsi parte civile in estenuanti processi. Senza l’attenzione di questi instancabili “rompiscatole”, molti casi, tanti procedimenti giudiziari, si sarebbero eclissati nella scarsa memoria che cancella identità e prospettive di questa regione.
Si spegnerà la rabbia diffusa che si sta propagando nelle contrade della provincia brettia e sulle due coste? È un sentimento crescente anche nel resto della regione. Può essere frenato soltanto dai persistenti vincoli feudali che legano masse di calabresi al destino di antiche famiglie
della politica e della malavita. Sono i clan di sempre, quelli che dominano partiti ed enti. Sono i veri responsabili dello stupro delle Calabrie. Soltanto una partecipazione sociale genuina ed arrabbiata può
metterne in discussione il potere plurisecolare.
Per esempio, due settimane fa 10mila persone hanno riempito le strade di Crotone, in difesa della terra, dell’aria e dell’acqua.
Sono uomini, donne, vecchi e bambini che da anni vivono in abitazioni e scuole costruite con materiali tossici provenienti dalla Pertusola, una fabbrica chiusa da anni, e mai bonificata. Gli
stessi materiali sono stati sotterrati dalle ecomafie sotto agrumeti e pescheti nella piana di Sibari, ma della bonifica non si parla più, nonostante siano stati stanziati milioni di euro e assegnati i
lavori.
Dunque, almeno per il momento, la rabbia popolare c’è, ma rimane in profondità. S’immerge silenziosa negli anfratti della rassegnata compostezza che quaggiù le popolazioni hanno maturato durante secoli di
calamità naturali e sociali. Ma come acqua di fiumara può riemergere minacciosa, imprevedibile, risolutiva, e cambiare il volto di questa regione. La paura di morire di fame e di cancro rappresenta più che una semplice motivazione per arrabbiarsi. È un’occasione unica per mettere in fuga i politicanti, sfiduciare la ‘ndrangheta, educare i più giovani ad un diverso rapporto con la nostra terra.
Ma per vincere, ci vorrebbe un ultimatum al governo ed a chi può intervenire. Entro una data unanimemente condivisa, questi signori dovrebbero scrivere una parola di verità, ripulire la regione dai veleni tossici e radioattivi. In caso contrario, l’auspicio è che tutta la Calabria si blocchi. Che nessuno passi più da questa terra, almeno fino a quando non restituiranno la salute e la dignità a chi la abita. Come al tempo dei briganti!
Claudio Dionesalvi
CARTA – settimanale – 16/22 ottobre 2009 – n° 36
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