“Il carbone pulito di Civitavecchia uccide”
Sergio Capitani, 34 anni, è morto nella centrale ENEL di Civitavecchia in un incidente sul lavoro. Questo è il comunicato dell’associazione No coke Tarquinia.
Chi ha ucciso il giovane di Tarquinia? Un tubo scoppiato o chi vuole bruciare carbone a tutti i costi contro il volere dei cittadini del comprensorio? Vogliamo considerare la tragedia una fatalità o vogliano analizzare le condizioni che hanno determinato questa circostanza?
Hanno scritto commenti miserevoli sul mancato rispetto delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori, siamo certi, finiranno per insinuare che la responsabilità è di chi c’è morto. La verità è più semplice e più tragica, quella è la fabbrica della morte frutto di un sistema clientelare, voluta dagli affaristi del carbone e sostenuta con forza dai politici per poi prendere i soldi delle compensazioni.La centrale a carbone nessuno la vuole, i cittadini non la vogliono, la salute non la vuole, l’ambiente non la vuole. La lotta contro la riconversione a carbone di TVN non ha avuto sosta in questi 10 anni caratterizzati da manifestazioni di piazza contro lo scempio del carbone, da denunce dirette a ministri e ministeri, dalla raccolta di migliaia di firme per referendum e petizioni popolari Europee.
Poi c’è chi muore, come è accaduto a Sergio, nel tragico giorno prima della Pasqua. Il lutto dei cittadini è sincero. Inaccettabile il cordoglio del sindaco di Tarquinia. Da una parte prende i soldi del carbone, degli accordi economici con Enel e dall’altra vorrebbe esprimere cordoglio e, come in una tragica beffa, si vorrebbe costituire parte civile per la morte dell’operaio. Con una mano vorrebbero continuare a prendere i soldi e con l’altra denunciare chi li foraggia, ma dove è finita la dignità?
Quella è la centrale della morte due volte: al suo interno muoiono gli operai vittime di un ambiente di lavoro poco sicuro e della fretta di finire, all’esterno muoiono i cittadini vittime del micidiale inquinamento del carbone. Morti annunciate dalla protesta di un territorio che chiede giustizia e rispetto e che invece riceve in cambio denunce, diffamazioni e falsità.
Povera Tarquinia, poveri i nostri figli!
Le polveri killer note da 25 anni
articolo di Andrea Paladino pubblicato da “Il Manifesto” il 7 aprile 2010
Ieri lo sciopero di otto ore, dopo la morte di Sergio. «Un disastro annunciato», denunciano gli operai. Il sindaco dispone la chiusura per quindici giorni della centrale «per accertamenti sulle misure di sicurezza». Il no dell’azienda allo stop della produzione. Mentre nel registro degli indagati della Procura compaiono anche 7 dirigenti Enel IL DOSSIER Amianto e ammoniaca nelle relazioni Asl
I pericoli della centrale elettrica dell’Enel di Civitavecchia erano conosciuti, da almeno 25 anni. Documentati, nero su bianco, da diverse ispezioni delle autorità sanitarie locali, fin dagli anni ’80, quando all’azienda vennero contestate diverse violazioni sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Forse troppo blandamente, visto che per sette anni, nonostante il pericolo fosse noto, i lavoratori hanno continuato a respirare amianto, rischiando il mesotelioma, la terribile neoplasia che non lascia scampo. Ed oggi alcuni di loro sono già morti, in silenzio, prima che qualcuno potesse rendere giustizia, mentre tanti altri rischiano a loro volta di ammalarsi.
Il documento riprodotto in queste pagine è datato 7 ottobre 1985, ed è il risultato di una ispezione degli impianti Enel del 30 settembre e del 2 e 7 ottobre dello stesso anno. Incredibilmente accanto alla rilevazione della presenza di polveri, non controllate, già allora all’Enel veniva contestato anche il rischio legato ai vapori di ammoniaca: «(…)Si sviluppano e si diffondono nell’ambiente di lavoro vapori di ammoniaca», spiegavano gli ispettori. La stessa sostanza che ha ucciso la settimana scorsa Sergio Capitani, l’operaio di 34 anni che stava effettuando una manutenzione degli impianti. Un pericolo, dunque, ben noto da tempo.
Sono le polveri, però, il vero killer della centrale di Civitavecchia. Particelle di amianto che fino al 1993 – secondo la documentazione consultata da il manifesto – erano presenti e non completamente controllate negli impianti e nelle zone dove hanno lavorato per decenni centinaia di operai. Il pericolo della diffusione delle fibre di amianto era noto già nel 1985. In un altro rapporto della azienda sanitaria locale, redatto dopo un’ispezione del 5 e del 7 giugno 1985 – gli ispettori segnalavano che nell’impianto vi era «un insufficiente isolamento del luogo di lavoro, con conseguente dispersione di polveri d’amianto all’esterno della zona delimitata fino a raggiungere valori limite superiori a quelli previsti dalla Direttiva Cee n. 477 del 19.9.83». La presenza delle fibre era talmente alta da raggiungere «una concentrazione all’interno dell’area delimitata estremamente elevata fino a 10 volte la massima concentrazione prevista dalla medesima direttiva, con inadeguata protezione dei lavoratori che vi operano». E – continuano gli ispettori della Asl – nella centrale di Civitavecchia vi era «un sistema di decontaminazione inadeguato dei lavoratori». Ovvero il rischio di respirare le polveri e fibre d’amianto, disperse nell’aria durante la manutenzione dell’impianto e – in alcuni caso – durante il normale funzionamento, era elevatissimo.
Il pericolo legato alle fibre killer è proseguito almeno fino al 1993. L’otto gennaio del 1996 la Asl di Civitavecchia firma la «Relazione sull’attività di vigilanza per i rischi da esposizione ad amianto dei lavoratori Enel». «Nel periodo settembre 1990 – luglio 1991 sono stati effettuati numerosi campionamenti (55) e solo in 5 casi si sono ottenuti valori compresi tra 16 e 46 fibre a fronte di un limite previsto dalla legge 277 del 91 pari a 200 fibre litro”» si legge nel documento. Anche dopo l’entrata in vigore della legge 277 del 1991 – che prevede l’innalzamento delle protezioni contro l’amianto – la situazione, secondo la Asl di Civitavecchia, non migliora. «Nel 1992 (28, 29 e 30 agosto) sono stati accertati nella zona “decontaminata” valori fibra/litro di 439, 350 e 170; ancora nel 1993 all’interno delle zone in cui venivano eseguite le attività di scoibentazione sono stati rilevati valori pari a 6.000/7.000 fibre/litro; nello stesso anno durante lavori di scoibentazione del frontale bruciatori in un caso nella zona incontaminata sono stati trovati valori di 470 fibre/litro e nella zona deposito sacchi valori di 145/130 fibre/litro; sempre nello stesso anno, al termine dei lavori all’interno della zona isolata, dopo lavori di pulizia sono stati trovati valori di 242 fibre/litro». Tutti valori rischiosi per i lavoratori della centrale.
Sono passati quasi vent’anni dall’ultimo dei rapporti sulla presenza di amianto nella centrale di Civitavecchia e alcuni lavoratori sono morti di mesiotelioma, ovvero una neoplasia incurabile che deriva direttamente dall’esposizione alle fibre di amianto. Operai che per decenni sono stati esposti a pericoli che erano ben conosciuti e documentati, tanto da finire nei rapporti degli ispettori del lavoro. Oggi la centrale è ferma e i gestori dell’impianto si trovano nella scomoda posizione di indagati per omicidio colposo, per la morte di Sergio Capitani. Una storia lunga di morti sul lavoro, che potrebbe non essere finita.