Processo Oliva. Condanna a 16 anni e sei mesi per Coccimiglio è la richiesta della procura
15 marzo 2017
Chiesta l’assoluzione per gli altri quattro imputati
di Bruno Pino
Cosenza, 16 gen. 2017 – Sedici anni e sei mesi per l’imprenditore Cesare Coccimiglio di Amantea, accusato di disastro ambientale e assoluzione per i coimputati Launi, Marinaro, Sicoli e Guzzo. Queste le richieste del pm Maria Francesca Cerchiara a conclusione della requisitoria nel corso del processo Valle Oliva Inquinata tenutosi ieri mattina in Corte d’Assise a Cosenza, che dunque dopo tre anni e mezzo dall’inizio, nel luglio 2013, arriva alle fasi finali.
Il pm della Procura di Paola, che dal mese di ottobre ha preso le redini dell’accusa, in sostituzione di Nuzzo e Camodeca, ha tenuto una circostanziata requisitoria, durata poco meno di due ore durante le quali ha ribadito il rilevantissimo inquinamento perpetrato ai danni della vallata. Ben 162 mila metri cubi di rifiuti tossici pericolosi per la salute, circa 15 mila viaggi di camion, interrati in sette aree lungo l’asta fluviale. Una mole enorme di materiale sotterrato illecitamente, e in modo sistematico, da fine anni ‘80 ad almeno il 2008.
La Cerchiara ha evidenziato più volte che si tratta di un processo indiziario, perché l’imputato principale non è stato mai trovato ‘con la pistola fumante’, ma quanto avvenuto non può non ricondursi all’azione del Coccimiglio. Una tesi spiegata con chiarezza di dettagli alla Corte d’Assise presieduta da Giovanni Garofalo (a latere De Vuono), attraverso l’analisi della situazione delle aree contaminate, tutte nelle disponibilità dell’imputato, e molto vicine all’azienda. Solo l’imprenditore di Amantea, dominus incontrastato, ha detto il Pm, era attivo nella zona del fiume Olivo, dove ha potuto svolgere gli interramenti nocivi.
Tutti i siti oggetto di indagini, di analisi e carotaggi, da Foresta a Carbonara, da Cozzo Manche e Valle del Signore, a Giani, sono risultati inquinati oltre i limiti di legge da fanghi industriali e metalli pesanti. In particolare, nella ricostruzione dell’accusa, si è parlato della briglia sull’Olivo di località Foresta, proprietà del demanio fluviale, che nel tempo ha registrato lavori eseguiti dalla ditta di Amantea, dove nel 2010 è stato ritrovato il sarcofago in cemento, contenente mercurio, ad una profondità tra i 10 e 12 metri. Per la pubblica accusa, più che un indizio, una prova.
Nessuna prova è emersa invece a carico dei quattro coimputati Launi, Marinaro, Guzzo e Sicoli, proprietari o concessionari dei terreni, che non sarebbero stati consapevoli della condotta illecita del principale accusato.
In ultimo, anche le parti civili – Comitato Natale De Grazia, Verdi, WWF, Legambiente, Anpana, Ministero dell’Ambiente, Regione Calabria, comuni di Amantea, Serra d’Aiello, San Pietro in Amantea, Cgil Cosenza, e le altre parti civili – hanno avanzato le proprie richieste alla Corte. Ovvero di dichiarare la penale responsabilità degli imputati per i reati a loro ascritti con la condanna alle pene ritenute di giustizia, nonché al risarcimento di tutti i danni provocati e delle spese processuali.
Prossima udienza, il 30 gennaio. La parola passa al collegio difensivo composto dai legali Carratelli, Filice, Staiano e Osso. In quella data, sarà fissata la camera di Consiglio che emetterà la sentenza di condanna o assoluzione.
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