Il porto delle nebbie
Il porto delle nebbie
Fusti e container carichi di rifiuti provenienti dalla Rosso. Ancorati sotto la banchina del terminal a La Spezia. Due operai lo denunciano. Ma nessuno controlla
30 settembre 2004
di Riccardo Bocca
Solo una settimana fa i vertici dell’armatore Ignazio Messina & C. negavano, intervistati da “L’espresso”, di avere smaltito illegalmente rifiuti pericolosi e radioattivi. Volevano cancellare il sospetto che grava su di loro: quello di aver cercato di affondare nel dicembre 1990 la motonave Rosso con un presunto carico di sostanze nocive. E di avere occultato quello stesso carico quando l’imbarcazione, spinta dalle correnti, è spiaggiata sul litorale di Formiciche, nel comune di Amantea, provincia di Cosenza. Un episodio che è al centro di indagini da parte della Procura di Paola, e s’inserisce in un cupo scenario affollato di faccendieri pronti a caricare tonnellate di rifiuti pericolosi su navi da colare a picco nel Mediterraneo. Ma anche di governi europei e non, che secondo le indagini avrebbero concordato un devastante piano per stipare montagne di immondizia radioattiva dentro missili e spararla sotto i fondali marini. “Ci vogliono massacrare”, continuano a ribattere i Messina. E sparano a zero contro magistrati, testimoni oculari, pubbliche istituzioni, politici, ambientalisti: tutti colpevoli di dubitare della loro trasparenza. Ora però un documento della Polizia forestale di Brescia, datato aprile 1997, apre un nuovo fronte, sempre centrato sulla motonave Rosso e sempre con protagonisti i Messina. Si tratta della testimonianza di due lavoratori portuali di La Spezia (informatori ritenuti affidabili, anonimi per evidenti ragioni) rilasciata all’ispettore Gianni De Podestà, il quale l’ha poi inviata alla Direzione distrettuale antimafia presso la Procura di Reggio Calabria. Un testo zeppo di elementi gravissimi che sono stati acquisiti dagli investigatori proprio mentre l’armatore Messina stava trasferendosi da La Spezia a Genova, dove ancora oggi opera. “Ci sentiamo in dovere”, hanno dichiarato alla Polizia forestale i due portuali, “di riferire che da molti anni lavoriamo al terminal Messina (…) e abbiamo visto che sono passati dal porto molti Tir di rifiuti, anche quelli delle navi della Messina. A tal proposito vogliamo dire che non possiamo scrivere niente perché dopo quello che è successo abbiamo paura per noi e le nostre famiglie. La Messina come compagnia è molto immanicata e c’è dientro (così nell’originale, ndr) la mafia a La Spezia, con tutti. Noi non ci fidiamo di andare a raccontare queste cose in città, siamo venuti qui perché il Comitato di difesa contro le discariche ci ha detto che siete stati voi a fare casino a La Spezia (si riferiscono all’importante indagine sulla discarica di Pitelli, ndr), altrimenti nessuno si muoveva”. Dopodiché i due testimoni riferiscono nel dettaglio quello che a loro dire stava accadendo durante il trasferimento da La Spezia a Genova: “In questi giorni”, spiegano, “stiamo smontando il terminal Messina, e si sa che come zavorra di parte della banchina è stato messo un pontone di nave, dentro il quale hanno infilato i fusti e i container dei rifiuti che la Messina aveva caricato sulle navi Rosso e Jolly Rosso. Questo pontone di nave”, continuano, “risulta come una nave tagliata orizzontalmente, che è stata riempita di rifiuti nel 1992. La parte bassa è saldata alla banchina, la quale ora che mancano i ponteggi tende a piegarsi per il peso della zavorra del fondo della nave. Adesso il terminal Messina di La Spezia verrà preso dalla ditta cantieri Oram, di un certo Gianfaldoni (…), e la cosa che ci preoccupa è che dovendo vendere tutto la Messina sta smantellando anche il pontone di nave. Ma non lo demolisce: lo porta via tutto insieme, e fa arrivare dalla Turchia una ditta che trainerà nei prossimi giorni con un rimorchiatore il pontone con dentro la zavorra di rifiuti, che si dice verrà smantellato sempre in Turchia”. A conferma dell’operazione in corso, i due portuali della Messina spiegano che nei giorni precedenti alla loro testimonianza “il cancello carraio era sempre aperto”, ma “sabato mattina, verso le ore 12, sono entrate in funzione delle semoventi e allora hanno chiuso tutte le entrate. Per quel che sappiamo”, sostengono, “il carico dovrebbe prendere il largo dal terminal Messina nei prossimi dieci giorni, e così viene liberato tutto, perché la compagnia non deve lasciare nulla ai nuovi proprietari”. Vero? Falso? L’ispettore Gianni De Podestà della Polizia forestale di Brescia decide di approfondire. E lo fa alle 13 del 9 aprile ’97, quando assieme al collaboratore Pier Giuseppe Delle Donne si mette a sorvegliare il terminal Messina. Il risultato delle due ore di appostamento è messo nero su bianco dall’ispettore, e coincide per quanto possibile con le indicazioni dei testimoni oculari: “La banchina della compagnia Messina è completamente sgombera in superficie”, scrive: “Non vi sono nemmeno più i ponteggi di carico-scarico dei container. Non si è potuto per ovvie ragioni entrare nel terminal e fare specifico controllo, ma dal cavalcavia della tangenziale spezzina si è visto che la banchina verso mare è pendente, e vi erano operai con saldatrici che lavoravano sulla stessa. Tutto quello che è stato motivo di osservazione”, conclude De Podestà, “fa presumere quanto riferito (dai due portuali), desunto anche dal fatto che tali informazioni sono di carattere riservato ma giungono da fonte in passato rivelatasi attendibile riguardo alle indagini svolte sulla motonave Rigel (affondata misteriosamente con un presunto carico di rifiuti nocivi, ndr)”. A questo punto, considerata la pesantezza degli indizi, verrebbe naturale pensare che il terminal Messina sia stato messo sotto costante osservazione. O che sia stata ordinata un’ispezione immediata, prima dell’arrivo del rimorchiatore turco che secondo i portuali avrebbe rimosso i rifiuti. Invece no. “Lì per lì non è stato posto alcun vincolo coercitivo alla movimentazione del terminal Messina, né sono state svolte perquisizioni”, racconta a “L’espresso” un dirigente della Polizia forestale. Nel frattempo l’informativa da Brescia veniva trasmessa alla Procura di Reggio Calabria, rimbalzava alla magistratura ligure e insieme con un’altra segnalazione di sostanze tossiche sulla nave Marilen (attraccata al terminal Messina) portava il 18 aprile ’97 all’apertura di un nuovo fascicolo. Nei giorni seguenti, dunque, fu finalmente eseguita l’ispezione. Gli stessi inquirenti raccontano che analizzarono a lungo il contenuto della Marilen, senza riscontrare nulla di illecito. Ma nessuno controllò sotto la banchina dove indicato dai due portuali.