Motonave Rosso e giallo Ilaria
Motonave Rosso e giallo Ilaria
‘L’uccisione della Alpi è legata all’inchiesta sui rifiuti radioattivi’. Lo dice il pm in Parlamento. E ora la commissione guidata da Taormina acquisisce i documenti dell’indagine di Reggio Calabria
di Riccardo Bocca
Adesso è ufficiale. C’è un legame diretto tra l’inchiesta della Procura di Reggio Calabria sui traffici marittimi di rifiuti radioattivi e l’omicidio Alpi. Lo ha dichiarato il 18 gennaio scorso il sostituto procuratore Francesco Neri alla Commissione parlamentare che indaga sulla morte della giornalista e di Miran Hrovatin. Non solo. Neri ha riferito al presidente Carlo Taormina di avere inviato gli atti negli anni Novanta a Giuseppe Pititto, il magistrato romano che in seguito fu inspiegabilmente estromesso dal caso. E ha svelato un altro particolare importante. Ovvero che durante una perquisizione in casa di Giorgio Comerio, titolare del progetto O.d.m. per sparare scorie radioattive nei fondali marini, è stato trovato il certificato di morte di Ilaria Alpi. Elementi che aprono nuovi scenari e pongono nuove domande. Chi ha coperto l’affondamento di rifiuti tossici predisposto da Comerio in Somalia, e segnalato da Neri alla Commissione? Chi sono i protagonisti della lobby internazionale, con diramazioni italiane, che avrebbe gestito il traffico internazionale della pattumiera radioattiva? E ancora: perché, come denunciato dalla famiglia Alpi, soltanto oggi si scava in questa direzione? La sfida è trovare risposte credibili. Costanti nel tempo sono stati i tentativi di depistaggio, culminati nella fasulla offerta di foto satellitari dell’omicidio Alpi. E ora si somma l’intervento a gamba tesa della politica: categoria in cui rientrano le parole di Enzo Fragalà, membro della Commissione Alpi, dopo l’audizione del sostituto Neri. “Il pm ha nettamente smentito l’ipotesi di collegamento fra l’inchiesta sul traffico dei rifiuti e l’omicidio di Ilaria Alpi”, ha dichiarato il deputato di An. Aggiungendo che “la Commissione” non avrebbe consentito “ad alcuno di orientare la ricerca della verità con teoremi astrusi”. Eppure il 18 Fragalà non era presente all’audizione. Ed è per giunta stato smentito dallo stesso Neri, il quale ribadisce: “Ho detto alla Commissione l’esatto contrario: esistono molti punti di contatto tra l’inchiesta di Reggio Calabria e l’omicidio Alpi-Hrovatin. Ora ne traggano le conseguenze”. Per farlo, quattro consulenti della Commissione Alpi sono volati venerdì scorso in missione riservata a Reggio Calabria. Lo scopo era acquisire dalla Procura gli atti dell’indagine, contenuti in 47 scatoloni sigillati, e così è stato. Nel frattempo l’atmosfera non si è rasserenata: anzi. Alla vigilia della trasferta, il presidente Taormina ha ricevuto un plico con il disegno di una croce e un proiettile inesploso calibro 7,65. Lo stesso giorno Taormina ha informato delle minacce il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, sottolineando come l’episodio cadesse “in un momento delicato della” sua “attività istituzionale”. E intanto “L’espresso” veniva a conoscenza di un nuovo capitolo dell’inchiesta calabrese. L’ennesimo tassello di questa incredibile storia, partita dal nostro Sud e arrivata a Mogadiscio. Stavolta il protagonista è Mario Scaramella, esperto di sicurezza nazionale, oggi consulente della Commissione parlamentare Mitrokhin e membro del Research Institute all’Università californiana di San José. “Era il 1996″, racconta, “quando i magistrati calabresi mi contattarono per una delicata missione. Volevano individuare una delle tante navi affondate nel Mediterraneo sospettate di trasportare rifiuti radioattivi. Presto”, spiega, “la scelta degli investigatori cadde sulla Rigel, affondata al largo di Reggio Calabria, dunque attivai i miei contatti”. Le conoscenze non gli mancavano. Dall’88 al ’91 Scaramella aveva collaborato con l’Alto commissariato antimafia. Poi aveva svolto incarichi riservati all’estero tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Belgio. Infine era tornato in patria come consulente del pm Guido Papalia, indagando su un troncone della Tangentopoli veneta. Quanto all’operazione Rigel, il consulente decise di contattare i vertici delle massime organizzazioni mondiali, dalla sezione affari scientifici Nato di Bruxelles all’organizzazione marittima delle Nazioni Unite a Londra, fino all’Agenzia atomica internazionale. “Tutte diedero la loro disponibilità”, racconta: “Tutte si dichiararono molto interessate al problema. Tranne l’Unione europea, che incredibilmente rispose con un secco no”. A quel punto Scaramella guardò oltreoceano, verso una società chiamata Eloret. “Una struttura che aveva uomini e know how Nasa”, spiega: “Perfetta per le nostre esigenze ma troppo esposta per accettare l’incarico”. Così, attraverso un gioco di scatole cinesi, la palla passò a un’altra organizzazione, la californiana Special research monitoring center (Srmc), che della Eloret era la più discreta rappresentante all’estero. “Nello staff”, racconta Scaramella, “c’erano scienziati di primo livello, anche italiani, impegnati nei settori spaziali, ambientali e della sicurezza nazionale. Ma c’erano anche ex dirigenti della Cia con grande esperienza. Gente che la Rigel l’avrebbe trovata”. E infatti. In breve tempo la Srmc mise a punto un piano che prevedeva l’utilizzo di una nave con 40 metri di coperta e una serie di software che avrebbero permesso la precisa analisi dei fondali calabresi. Un sogno, per i magistrati, che finalmente vedevano concretizzarsi la possibilità di individuare la Rigel, recuperare campioni del carico e dimostrare la tesi del traffico radioattivo. “Ma quando il nostro ministero della Giustizia venne a sapere che l’operazione sarebbe costata 1 miliardo 400 milioni di lire”, ricorda Scaramella, “rispose che al massimo potevamo mettere 20 milioni sulla nota spese della Procura di Reggio”. Così tutto il progetto saltò. Addio società americana, e naturalmente addio Rigel. “In seguito”, precisa Scaramella, “la questione fu rivalutata dal governo Prodi, che stanziò 5 miliardi di lire per verificare la radioattività del mare. Ma l’incarico finì all’Anpa, l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, la quale analizzò campioni di pioggia e di acqua marina in superficie”. Per chiunque capisca di radioattività, commenta Scaramella, “un’evidente perdita di tempo”.